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La seconda vita delle miniere siciliane, nel cuore dell'Isola riprende l'estrazione: «Il mercato c'è»

Investimento privato di 11 milioni e 400 assunti nel triangolo Agrigento-Caltanissetta-Enna

22 Giugno 2025, 17:51

Lacrime e sangue. Sudore e morte. L’epopea delle miniere di zolfo, l’“oro del diavolo”, che si sviluppò dalla fine del 1700 fino al 1986, è una storia intrisa di fatica, di sofferenza, di sfruttamento e di miseria cui si è posto fine in tempi recenti. Risale infatti al 1988 la legge regionale n. 34 con la quale la Regione Siciliana decretò la dismissione del settore solfifero con la chiusura definitiva di tutti gli impianti. Gli ultimi pozzi (Fiocchi, Maurelli e Tumminelli) vennero chiusi il 23 gennaio del 1990. Le miniere di kainite (sale potassico usato come fertilizzante), invece, sono state chiuse definitivamente il 27 luglio 1992, con la sospensione delle attività estrattive a Pasquasia, la miniera più importante per l’estrazione di questo minerale.

Ma le cose cambiano. E talora anche in fretta. E ciò che fino a ieri era considerato ormai superfluo e superato dal tempo e dai mercati, sta per tornare in auge.

Ventre molle

La guerra di conquista intrapresa dalla Russia contro l’Ucraina ha cambiato lo scenario del mercato internazionale delle materie prime, soprattutto di quelle energetiche. Le scosse telluriche generate dal conflitto armato hanno aperto uno spiraglio per una parte della popolazione delle aree interne che sembrava inevitabilmente condannata all’emarginazione dopo la chiusura delle cave, con il progressivo e inesorabile peggioramento della qualità della vita. Perché per decenni, la sopravvivenza in quello che è stato definito “ventre molle” della Sicilia, tra le province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento, era fondamentalmente dipeso dal reddito generato dall’estrazione, dalla lavorazione e dall’esportazione dello zolfo e della kainite. Per un certo periodo per altro la Sicilia vantava la massima produzione a livello mondiale.

Fondata sull’industria mineraria e sull’agricoltura, l’economia non riusciva più ad offrire lavoro costringendo molti abitanti delle aree interne a emigrare. Al contempo, mentre l’economia perdeva slancio, anche la salute veniva messa a rischio.

A Serradifalco, infatti, fino a quando c’è stato il lavoro, si è sorvolato sugli effetti nocivi per la salute che l’industria mineraria inevitabilmente comportava per i minatori ma anche per la popolazione del luogo.

Ma quando le cave sono state chiuse, è apparso evidente che la mancata bonifica di quei luoghi, ricchi di amianto, avrebbe rappresentato una minaccia sinistra per l’incolumità pubblica.

La Regione

Tutto questo finché ad un certo momento la Regione Siciliana, in un momento di resipiscenza, con due mosse decise di giocare d’anticipo cogliendo un’opportunità economica impensabile fino a pochi anni fa. Anzitutto ha preso l’iniziativa di avviare la bonifica delle miniere eliminando una minaccia potenzialmente terribile per la saluta pubblica e nello stesso tempo decise di rilanciarle grazie al nuovo spazio creato nel mercato dei sali potassici, che era appannaggio di Russia e Ucraina fino allo scoppio nel 2022 della guerra fratricida tra Mosca e Kiev.

Il basso costo del materiale esportato dai due Paesi aveva decretato la fine del mercato siciliano, che ora ha una nuova chance da sfruttare con la riattivazione di tre miniere: Bosco a Serradifalco, San Cataldo e Milena (dove insiste il permesso di ricerca “Gallo d’oro”).

La rincorsa al nuovo mercato è stata aperta dalla Germania e dal Canada e l’Italia ora si appresta ad attrezzarsi puntando a rivalorizzare le risorse celate nel sottosuolo della provincia di Caltanissetta.

L'investimento

La GMRI ha deciso di investire 11 milioni di euro per rimuovere l’immenso ammasso di scarti di sali potassici abbandonato con la fine delle attività di coltivazione. Sono tre milioni di metri cubi, una montagna di sale che può essere usata per i mezzi spargisale nel nostro Paese e all’estero. Poi ricomincerà l’estrazione, con un’operazione che darà lavoro per vent’anni a circa 400 persone, se si considerano le tre miniere e l’indotto.

Da qualche tempo l’azienda è impegnata a effettuare carotaggi. In seguito alle analisi chimico-fisiche dei campioni, l’azienda è giunta alla conclusione che non siamo in presenza di rifiuti, ma di materiali preziosi che oggi possono avere mercato. Da qui è scaturita la decisione di chiedere alla Regione Siciliana di lanciare un bando di concessione delle cave siciliane.

«Grazie alla virtuosa collaborazione tra pubblico e privato - commenta il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani - risolviamo una criticità che aveva pesanti ripercussioni sul fronte ambientale e trasformiamo ciò che per anni è stato ritenuto un rifiuto da smaltire in una preziosa risorsa economica. L’iniziativa è a costo zero per l’amministrazione regionale e ci consentirà anzi di avere maggiori entrate e di creare nuova occupazione. L’intervento del settore privato, quando è competente e professionale, può rivelarsi un forte acceleratore per lo sviluppo della nostra economia, e concorrere con il sistema pubblico a migliorare la qualità dei servizi erogati ai cittadini».