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Racket, «Ora basta»: l’urlo di rabbia lanciato da Gela

Di Maria Concetta Goldini |

Gela (Caltanissetta) – L’unione fa la forza ed è un elemento fondamentale per combattere mafia e racket: un concetto ribadito più volte ieri mattina al teatro Eschilo durante l’assemblea nazionale delle associazioni antiracket aderenti alla Fai. Sono venuti da Castel Volturno, da Napoli, da Vieste e da varie città della Sicilia, ci hanno messo la faccia alzandosi in piedi davanti al pubblico i presidenti delle associazioni d’Italia. Del Sud Italia, perché al Nord – è stato sottolineato – la mafia si fa sempre più forte ma la denuncia delle vittime è un caso sporadico. I presidenti della lotta al racket si sono dati appuntamento per la prima volta a Gela per due motivi: perché Gela, «pur con tante criticità, pur con sacche di omertà ancora presenti – ha detto il presidente onorario Fai Tano Grasso – è la città d’Italia in cui si è denunciato di più». Sono venuti soprattutto a porgere solidarietà al presidente di Gela, Renzo Caponetti su cui dal 27 settembre è stata rafforzata la vigilanza perché è scattata da lui la scintilla che ha portato alcuni titolari di pubblici esercizi a denunciare il racket delle imposizioni di fornitura ad opera del clan della Stidda. Ne è scaturita l’operazione “Stella cadente” che ha decapitato capi e gregari del sodalizio mafioso che si era riorganizzato negli ultimi tre anni. «Abbiamo 500 leoni in strada pronti a fare una guerra» – si vantavano gli stiddari non sapendo di essere intercettati. «E noi siamo 5000 tra commercianti ed imprenditori pronti a denunciare. Noi siamo una forza, loro sono solo dei balordi. È vero quando ho contattato i commercianti per denunciare gli stiddari che li minacciavano con le pistole avevano paura ma quando non si è soli il coraggio viene» – ha detto il presidente dell’antiracket gelese Renzo Caponetti.

A Gela, capitale dell’antiracket, le associazioni hanno voluto testimoniare il valore delle loro esperienze specificando però che non è un cammino «fatto di rose e fiori». «Denunciare il racket non è una passeggiata- come ha testimoniato il presidente nazionale Luigi Ferrucci – e non sempre tutto funziona come dovrebbe. Il sistema tutto deve migliorare e mancano i tasselli della società civile che spesso si gira dall’altra parte e di quei commercianti che ancora pagano il pizzo». La possibilità di reagire c’è. È rappresentata dall’associazione antiracket che diventa la famiglia di chi denuncia. Renzo Caponetti ha nel suo cellulare le foto con tutti gli oltre 100 associati gelesi. Si sentono o si contattano ogni giorno. Nessuno tra chi ha denunciato ha subito poi ritorsioni. Gela si è ribellata solo 10 anni dopo l’uccisione di Gaetano Giordano scelto dalla mafia con un sorteggio per mandare un segnale forte agli altri commercianti.

Una storia che la lega a Castel Volturno. Gaetano Giordano come Domenico Noviello, il titolare dell’autoscuola, ucciso 12 anni fa dai Casalesi per far capire agli altri colleghi che fine fa chi si ribella. Il figlio Massimo (lo stesso nome del figlio di Gaetano Giordano ferito durante l’agguato mortale al padre) vive sotto scorta ed ieri era al teatro Eschilo come presidente dell’antiracket della sua città. «Noi siamo stati isolati, se mio padre avesse incontrato un’associazione antiracket non sarebbe morto» – ha detto sottolineando che la lotta al racket va praticata e non ha bisogno di vuote parole, parate ed iniziative di facciata. Ed è stato questo il secondo messaggio lanciato ieri al teatro dove erano presenti pure delegazioni di studenti. Da Gela è partita la polemica verso le associazioni di categoria, peraltro assenti al teatro Eschilo mentre c’erano,invece i sindacati.

Dall’appello del Prefetto di Caltanissetta Cosima Di Stani («Vanno coinvolte ad un maggiore impegno le associazioni di categoria a fare la loro parte») si è passati alle bordate di Tano Grasso a Confindustria e all’antimafia retorica. A rincarare la dose il commissario nazionale antiracket Annapaola Porzio. «Le associazioni di categoria sono inesistenti – ha detto – vengono di corsa quando c’è da firmare qualche protocollo davanti ai riflettori delle Tv ma poi scompaiono quando c’è da tradurre in pratica i contenuti di quel protocollo. Hanno informazioni che a noi mancano e non ce le trasmettono e invece quelle informazioni potrebbero aiutarci ad intervenire prima che alla vittima del racket accada qualcosa di brutto. La nostra missione è quella di arrivare prima».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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