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«Pochi soldi, pochi voti», così la mafia inquinava il voto a Niscemi

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Caltanissetta. «Picca pagari, picca voti». Questa, nella brusca semplicità di un’intercettazione, è l’equazione politico-mafiosa sulla quale si fonda l’attivismo elettorale di Cosa Nostra a Niscemi.

Per le Amministrative 2012, in cui viene eletto sindaco Francesco “Ciccio” La Rosa, poi in prima linea contro il Muos. «Questa giunta libera, senza padrini, dà fastidio», diceva dopo la raffica di intimidazioni ad alcuni suoi assessori nel 2015. Le persone finite nelle 583 pagine del gip Marcello Testaquatra, che ha disposto la custodia cautelare per La Rosa e per gli altri finiti nell’inchiesta su mafia e voto di scambio, non la pensano così. «Si iddru votano a Cicciu c’è infiltrazioni di mafia», dice l’imprenditore Vincenzo Amato al suo socio Gianluca Verdura. E poi – dopo aver prefigurato lo scenario in caso di vittoria dello sfidante al secondo turno di cinque anni fa, Giovanni Di Martino, con un «’a mafia finiu» – certifica il pedigree di La Rosa: «Cicciu è mafia».

E Giuseppe Mangione, altro arrestato dalla Squadra mobile nissena, con una metafora da giocatore di briscola: «Si iddru acchiana Ciccio La Rosa avimmu asso… tre e re…». Questo entusiasmo, scrive il giudice, sottintende che «avrebbero potuto sbloccare lavori, in particolare nel settore del fotovoltaico e far lavorare persone a loro “vicine”».

Del resto, il sindaco eletto nel 2012 (sconfitto al ballottaggio di domenica scorsa che gli ha negato il secondo mandato, ma non il posto di neo-consigliere d’opposizione) non fa nulla per smentire questa etichetta. Compreso il presunto “acquisto”, diecimila euro la cifra in ballo, di Anna Maria Ficarra – sorella di Salvatore, ritenuto «sodale del clan» e come tale arrestato – come candidata “forte” in consiglio comunale. E poi, fra le accuse a La Rosa, i voti comprati in contanti (100 euro l’uno) e con promesse di posti di lavoro. Alcune mantenute, tra le 67 assunzioni a cavallo delle elezioni nella ditta di Giuseppe Attardi, finito ai domiciliari così come il figlio Calogero detto Carlo. Il tariffario del boss Alessandro Barberi, anch’esso in carcere, era molto più pretenzioso: 20mila euro prima del voto e altri 22mila dopo. Tutti in contanti, ovviamente.

Ma nelle carte c’è dell’altro. Il gip lo scrive in modo chiaro: «Dalle indagini emergeva che Attardi Calogero e i suoi fidati si sono impegnati a sostenere, nella competizione elettorale dell’ottobre 2012, di Donegani Miguel, quale candidato al Parlamento siciliano e di Musumeci Nello, quale candidato alla Presidenza della Regione Sicilia». Attardi non è un affiliato, ma – certificano gli inquirenti – «si incontrava personalmente» con i due «capi mafia» (Giancarlo Giugno e Alessandro Barberi) «al fine di mettere a punto l’accordo elettorale». E in un’intercettazione ambientale – nella sua auto, la mattina del 28 ottobre, a urne delle Regionali aperte – Attardi risponde a Giuseppe Mangione (altro arrestato) che gli chiede: «E chiddru longu è cu niatri?…», riferendosi al capomafia niscemese Giancarlo Giugno. «Mille per mille», è la rassicurazione.

Un capitolo dell’ordinanza è intitolato “Interesse di cosa nostra per le elezioni regionali del 28 ottobre 2012”. In questo contesto, ma non soltanto, il gip approfondisce soprattutto il ruolo di Donegani, gelese, ex deputato poi non rieletto all’Ars. E parla dell’«impegno» di Attardi e di altri due «fidati» (Ficarra e Calogero Mangione) per Donegani. L’ex consigliere arrestato «in maniera chiara e senza possibilità di equivoci», nel corso di «incontri personali col futuro candidato», gli rappresenta «il suo sostegno elettorale per procurare voti a fronte di posti di lavoro».

Significativa un’intercettazione ambientale nell’auto di Attardi, il quale – il 30 settembre 2012 alle 18,31 – parla con la fidanzata Erika e due soggetti, Franco e Diego, rimasti ignoti. E conferma loro di un incontro con l’aspirante deputato, al quale avrebbe dato un ultimatum. «Se fa ‘u babbignu, lunedì prossimo prendiamo altre decisioni. E gli facciamo perdere 800-1.000 voti». In un’altra conversazione in auto, il 2 ottobre 2012, Attardi parla con Salvatore Mangione, «verosimilmente di Donegani» annotano gli inquirenti.

Carlo: ... iddu a pigghiari po culu a niatri… picca rinari… picca voti (pausa)

Salvatore… Gela tutti… a Gela i carusi nostri tutti fermi su… chiddu nun l’ha caputu… se poi alla fini un ci risulta chiddu chi cià risultari… cazzi so su… iu te rittu mi ci va strarriu!!!… ti pari chi… sacciu chi chiddu è deputatu…

Nell’ordinanza anche una conversazione fra Ficarra e Mangione evidenzia «l’interesse dei due a incontrare Donegani (…) allo scopo di aggiudicarsi qualche appalto in modo illecito». Non è dato sapere se ci siano mai stati contatti effettivi.

Ma nelle carte c’è l’idea del “voto disgiunto”: il candidato gelese del Pd all’Ars e l’allora esponente della Destra come presidente. I due s’incrociano in un’intercettazione ambientale del 28 ottobre 2012, in cui Attardi, già con Mangione, risponde a una terza persona, non identificata, che sale in auto e gli chiede «se aveva dimenticato i voti di Giancarlo» (il boss Giugno). Il gip scrive che Attardi «affermava di aver incontrato la moglie del Giugno a scuola (in effetti Patti Giuseppina, moglie di Giugno è di professione insegnante) e gli aveva dato conferma del sostegno del marito, in riferimento alla candidatura Donegani/Musumeci».

Peppe… inc… e Giancarlu?… inc… tu scurdasti?

Attardi… secunnu tia… che si ni pigghia fac-simili…

Peppe… ah?…

Attardi… macari Musumeci… so muggheri così…

Peppe… e quannu… inc… ? … quanni cià… inc…

Attardi… inc… po so muggheri all’atra ieri quannu fu a scola

Peppe… ah?… Donegani-Musumeci, no? …. inc… macinammu!

Poi i due parlano di un contatto con il candidato del Pd all’Ars.

Attardi… du curnutu a menzannotti mi chiamà!!…

Peppe… cu? Miguel?…

Attardi… minchia iu u sintiva tipu chi era fattu stari… già u sintiu a talefunu…

Peppe… chi rissi?…

Attardi… hallo… com’è?… (ridono e imita Miguel)

Nell’ordinanza nessuna traccia di contatti – né avvenuti, né millantati – fra la cricca niscemese e Musumeci. Ma il candidato governatore, che poi sarebbe diventato presidente dell’Antimafia dell’Ars, gode di una stima da «uomo onesto e serio» fra i sostenitori “a sua insaputa”.

Grottesco, al di là dell’irrilevanza penale, un dialogo del 14 settembre 2012 fra l’onnipresente ex consigliere niscemese e tale “Pitrì”, «rimasto ignoto», che «riferiva all’Attardi che era andato a cercarlo “suo padrino” (…) perché gli voleva parlare».

FrancescoAaa u capiu. Infatti po mi rissi… iddu mi fici parrari… ci fici na lezioni di politica cu stunaiu. Disse io voto Musumeci, non mi chiedere altri voti (ride)

CarloA iddu tu rissi? (inc.)

FrancescoMa io penso molto Micciché (Gianfranco, altro candidato presidente, ndr) … no, no. Micciché unni runa travagghiu… è chiù mafiusu i tia (ride)

Carlobravu, chiddu (Musumeci, ndr) armenu è onestu, seriu

FrancescoChiddu a lavorare ci va con la macchina e ci rissi a sù giornalista, pirchì iu l’ava seguito piddaveru, a mia mi piaci a politica compà… sono i momenti che…

Carloinc… è in gamba, pirchì unnè chi dici… piddaveru dici chiddu i so figghi su a spassu piddaveru… chi unn’avi auto blu… è handicappatu precisu comu politicu… però… ora tutte le cose che lui ha fatto… ora… inc…

Infine, i due – a modo loro – vantano i benefici portati sul territorio catanese dall’ex presidente della Provincia.

Francescobraaavu…!!

Carloinc… Nello Musumeci i purtà… l’autostrati a du a tri corsii dda ee… a polu… cu i purtà Nellu Musumeci… Librinu… se tu ci vai o Librinu e ci rici vota Crocetta o vota a… ti mazzunu…

Francescosì a Crocetta…

Carloti mazzunu…

FrancescoMusumeci…

Carloda’ è Musumeci forever… non esiste propria…

In un altro passaggio dell’ordinanza si cita un altro candidato all’Ars: Gianluca Micciché, che poi sarà eletto con l’Udc (ora transitato nei Centristi) e diventerà assessore alla Famiglia, prima di essere defenestrato dopo lo scandalo sui disabili con le “Iene”. In una telefonata del 13 novembre – quindi successiva al voto – un tale “Angelo” (che parla da «un’utenza intestata al Comune di Riesi nella persona di tale Iannì Aldo») contatta Attardi «per riferirgli che sabato prossimo sarebbe andato a Niscemi assieme a Gianluca Micciché, deputato regionale dell’Udc, per andare assieme a lui, anche presso la famiglia Musto per salutare e ringraziare». Attardi, scrive il gip, «rispondeva che sarebbe stato presente a Niscemi in occasione dell’annunciata visita». La famiglia Musto, la stessa di Alberto (raggiunto ieri da ordinanza di custodia nel carcere di Asti dov’è detenuto per reati di mafia) è ritenuta «affiliata alla consorteria di Niscemi».

Suggestioni da fiction in stile coppola&lupara, fors’anche qualche elemento da approfondire rispetto a singole condotte. Tuttavia, precisa il gip, «le indagini svolte nel procedimento non hanno consentito di acquisire elementi significativi comprovanti una attività concreta ed effettiva dei personaggi mafiosi niscemesi volta a procurare voti ai politici sostenuti dall’Attardi». Così come non è tracciabile, carte alla mano, «la stipula di un patto elettorale, ben determinato nei suoi elementi sinallagmatici, come invece accaduto per le elezioni comunali di Niscemi». Mancano, insomma, «elementi indiziari seri e gravi» per provare «la sussistenza di una condotta rilevante di compravendita del voto».

In effetti, anche a guardare i risultati delle Regionali, il presunto sostegno di Cosa Nostra non fu decisivo come per le Amministrative di qualche mese prima. A Niscemi Musumeci, da candidato governatore, prese 1.752 voti, pari al 17,84%. Performance al di sotto della media (25,73%) del risultato regionale. Nella città che l’avrebbe in seguito contestato per il balbettante atteggiamento contro il Muos, invece, Crocetta fece il pieno: 4.020 suffragi, il 40,94%. Nella corsa per l’Ars Donegani totalizzò 439 preferenze, primo in città nella lista del Pd; Micciché appena 20 con l’Udc.

Eppure l’estensione dell’interesse di Cosa Nostra niscemese, dopo il “successo” delle Amministrative, anche alle successive Regionali, scrive il gip di Caltanissetta, dimostra che «la manipolazione e compravendita del voto elettorale costituiva una costante di molti esponenti politici siciliani». E allo stesso tempo ciò è «elemento di prova» della «strategia mafiosa di infiltrazione nelle istituzioni pubbliche a mezzo il condizionamento del voto».

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