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Catania: col “carico” delle imposte locali, le aziende lavorano sino all’8 settembre per il fisco

Di Andrea Lodato |

Un primato amaro, tutt’altro che invidiabile. Anzi. Nella sede della Cna catanese, in piazza Dei Martiri, il “Rapporto 2018 “Comune che vai fisco che trovi”, realizzato dall’Osservatorio permanente sulla tassazione delle piccole e medie imprese, era atteso, purtroppo, esattamente nei termini e con i numeri con cui ieri è stato diffuso. Catania si conferma Dracula tra le città siciliane, ma anche nel panorama nazionale, con la maglia nera tra le province isolane, piazzandosi al 133° posto nazionale su 137. Peggio di Catania sono riuscite a fare solo Reggio Calabria, Bologna Roma e Firenze. Perché questi numeri da record? Perché le imprese catanesi devono lavorare per il fisco addirittura sino all’8 settembre, prima di cominciare a fare qualche profitto, dando un senso ai sacrifici fatti, agli investimenti, ad una strenua resistenza che spinge ancora migliaia di piccoli imprenditori a tirare avanti con le loro attività?

Spiega Andrea Milazzo, segretario provinciale della Cna: «Determinante è ancora una volta il peso delle imposte comunali come si può desumere dal confronto con la media nazionale, ma soprattutto con Enna e Trapani, i Comuni capoluoghi isolani più virtuosi. E incide, naturalmente anche la composizione del Ttr con riferimento all’ammontare in euro dei singoli tributi erariali e locali. In sostanza – spiega Milazzo – se il valore medio nazionale delle imposte locali versate (Imu +Tari +Addizionale Comunale) è pari ad euro 6.575, se un imprenditore di Trapani ne versa 4.864, ed uno di Enna 5.434, un imprenditore catanese raggiunge 10.986 euro».

Cifra spropositata, non c’è che dire, esborso che, come detto, mette in ginocchio le attività, schiaccia le imprese, mette a repentaglio la loro stessa esistenza. Ma come si arriva a quei numeri? «L’Imu versata da un imprenditore catanese – specifica Milazzo – è pari al 163 % della media nazionale, al 187% di quella versata da un imprenditore di Enna e al 208% di uno di Trapani. Il dato relativa alla Tari è, se possibile, ancora più impressionante: il 189% rispetto alla media nazionale. I 291% rispetto al dato ennese, il 347% rispetto a quanto pagato da un imprenditore trapanese. Ed a queste cifre va aggiunta la beffa della “doppia imposizione”, ovvero del costo ulteriore per lo smaltimento dei rifiuti speciali cui si provvede a proprie spese».Ed è seguendo questo percorso, appunto, che l’imprenditore etneo scopre di essere costretto a lavorare più per il fisco che per se stesso.

«Questo quadro determina un reddito netto disponibile e un tax free day (il primo giorno utile in cui l’imprenditore guadagna per la propria famiglia) profondamente diversi: a un’impresa del capoluogo etneo con reddito pari a 50.000 euro ne resteranno 15.504 dopo il passaggio del fisco. All’interno dello stesso ordinamento fiscale, in pratica, ed a meno di 100 km di distanza, un imprenditore catanese dispone di 4515 euro l’anno in meno di un imprenditore ennese, e di 3828 euro in meno rispetto alla media nazionale. E’ evidente che ciò altera la concorrenza e soprattutto incentiva abusivismo e lavoro nero».

Dati attesi, dunque, drammaticamente messi in preventivo dalla Cna catanese, che è guidata dalla presidente Floriana Franceschini ed è formata da un nucleo battagliero di artigiani, tecnici ed esperti che in questi anni hanno cercato di essere argine alla deriva che ha colpito il sistema delle imprese, ma anche stimolo, soprattutto al mondo politico, per avviare azioni di sostegno. Cosa fare adesso, allora, di fronte a questa proiezione negativa?

«Per migliorare il nostro sistema tributario – dice Milazzo – è necessario che il governo preveda la detassazione degli immobili strumentali destinati alle attività produttive o quanto meno la totale deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa. Bisogna introdurre la Flat tax in modo progressivo e credibile secondo un piano sulla base delle risorse rese disponibili attraverso il recupero dell’evasione e la riduzione della spesa pubblica. Va rivista la riduzione delle aliquote Irfef a partire da quelle più basse del 23% e del 27% e si elimini la discriminazione attuale operata dalle detrazioni da lavoro delle piccole imprese personali. Inoltre è importante l’estensione del regime forfettario a tutte le imprese individuali e professionisti con ricavi inferiori a 100.000 euro, questa è sicuramente la via giusta. Una misura che coniuga una reale semplificazione fiscale insieme ad una forte riduzione della pressione fiscale per centinaia di migliaia di imprese. Il regime forfettario nasce da una proposta della Cna che, purtroppo e con rammarico della nostra organizzazione, ha visto una applicazione limitata alle sole imprese con ricavi compresi tra i 25 mila e 50 mila euro, per effetto dei vincoli comunitari, dal momento che il regime, tra l’altro, prevede l’esonero dall’applicazione dell’Iva. Auspichiamo anche che l’amministrazione Pogliese si adoperi per modificare il regolamento comunale ed escludere dalla base impositiva della Tari aree destinate a produzione in via prevalente di rifiuti non assimilabili a quelli urbani comprese le superfici adibite a magazzini, così come sancito da un chiarimento ministeriale del 2014 e da una sentenza della Cassazione».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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