Pentito svela i segreti della spietata mafia di Adrano: dalle guerre tra clan agli omicidi irrisolti
Le dichiarazioni di Vincenzo Rosano, vecchio boss della famiglia Santangelo-Taccuni
Il primo verbale risale quasi a un anno fa. Vincenzo Rosano, detto Pipituni, è uno di quei pentiti che può fare la differenza. Vecchia guardia del clan Santangelo di Adrano, articolazione dei Santapaola di Catania, conosce anche i più loschi segreti della famiglia mafiosa.
Il pentito ha cominciato la sua carriera criminale da pusher. «Sono diventato un affiliato nel 1987 quando ho iniziato a spacciare droga con Vito Distefano». Rosano entra ed esce dal carcere fino al 1997 quando scappa in Germania per sfuggire alla vendetta di Giuseppe Lo Cicero per l’assassinio dei fratelli Vincenzo e Angelo commesso nel 1991. Quando Pippo Scarvaglieri degli Scalisi, clan rivale dei Santangelo, ordina l’uccisione di Lo Cicero (papà di Cristian, ultimamente arrestato per essere il capo di Adrano del clan Mazzei) Rosano decide di tornare in Sicilia.
Nel 2006, mentre è detenuto, colpiscono al cuore il boss, uccidendo il fratello Alfio. Da dietro le sbarre il mafioso pretende la risposta da parte dei Santangelo, che però tarda ad arrivare. Così fa tutto da solo e crea un gruppo autonomo. Poi ci sarebbe stata una riunione in cui le cose sarebbero state messe a posto. «Chiarimmo tutti i dissidi esistenti e tornai a far parte del clan Santangelo».
Panni sporchi
Il collaboratore ha rovistato nei panni sporchi del clan. Facendo anche nomi e cognomi di killer e mandanti di omicidi rimasti irrisolti da decenni. E infatti, l’ex boss è uno dei collaboratori che ha permesso di riaprire le indagini sui delitti di Francesco Rosano e Alfio Neri, commessi nel 2008. E ultimamente la polizia ha fatto dei rilievi sulla scena dell’agguato in cui perse la vita Salvatore Santangelo nello stesso maledetto anno. Chissà se il là all’inchiesta, anche in questo caso, lo ha dato Rosano.
L'album fotografico
A luglio 2022, il pentito torna davanti ai magistrati. Gli mostrano un album fotografico. Le oltre 180 pagine sono piene di omissis, ma in diversi passaggi si parla dell’omicidio di Nicola Ciadamidaro, scomparso nel 2016. Addirittura parlando di Nino Bulla, lo inserisce proprio come uno degli autori di quello che per gli inquirenti è un caso di lupara bianca, forse collegato ad antichi screzi. La vittima è stata legata ai Liotta-Mazzone, avversari dei Santangelo-Taccuni. Già l’anno scorso è arrivata la notizia di una clamorosa svolta per risolvere il caso. Oggi questo verbale sembra la prova che la luce in fondo al tunnel è vicina.
Il retroscena
Ci sarebbe stato anche un tempo in cui i Santapaola avrebbero chiesto ad Alfio Santangelo, reggente di Cosa nostra ad Adrano, di prendere in mano la cabina di regia della cupola provinciale. Un retroscena che emerge da un altro verbale della collaborazione di Vincenzo Rosano. Il vecchio boss però avrebbe ringraziato e declinato la proposta.
Davanti all’immagine di Alfio Santangelo, Rosano non ha dubbi. «È il capo promotore dell'associazione, da quando si è pentito Pippo Pellegriti negli anni Ottanta». Per il collaboratore il padrino adranita sarebbe stato il punto di riferimento del clan Santapaola («si rivolgevano a lui per determinati consigli») per quelli dei paesi etnei («tipo Adrano, Biancavilla, Paternò, Belpasso»).
A un certo punto del racconto fa la rivelazione. «Ha rifiutato anche di comandare a Catania. Glielo hanno offerto mentre era in carcere e stava per uscire». Il periodo dovrebbe essere quello intorno al 2012. Santangelo insomma avrebbe preferito lasciare ad altri l’incombenza di prendere il pesante scettro di Cosa nostra catanese.
Ma invece si è tenuta stretta la poltrona di capo di Adrano, che gli sarebbe rimasta cara nonostante la detenzione. «Anche dopo che l'hanno arrestato, nel 2018, è sempre lui il riferimento del clan di Adrano». Anche se come reggenti operativi ci sarebbero i due generi, Nino Quaceci e Nino Crimi. Che però per le decisioni importanti devono «sempre consultarsi con il suocero».