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Sesso e soldi, violato il codice d'onore: ecco perché il boss è stato estromesso dai Nizza

Nelle motivazioni del processo Skanderbeg le rivelazioni del pentito Silvio Corra su uno dei 54 condannati

Laura Distefano

06 Settembre 2023, 14:43

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«Scarcerato il 5 giugno 2023». Una postilla che è inserita dopo i nomi di una larga fetta dei 54 condannati di uno dei tronconi del processo Skanderbeg. Sono state depositate le motivazioni della sentenza del processo abbreviato emessa dal gup Carlo Cannella un anno e mezzo fa (era marzo 2022). Sono 153 pagine che fotografano il mondo criminale legato al traffico di droga. Le indagini portarono a far chiudere bottega a 12 piazze di spaccio tra via Capo Passero, via Pantelleria, via Egadi e via Ustica. Ma al centro degli affari, lucrosi, ci sarebbe stato Lorenzo Michele Schillaci, ancora detenuto, che incassò una condanna a 16 anni.

Il blitz che portò a 100 arresti, di cui oltre la metà risultati percettori del reddito di cittadinanza, permise di sferrare un durissimo colpo a Cosa nostra. A casa di Schillaci, infatti, fu trovato una sorta di libro mastro con annotati uomini d’onore che avrebbero ricevuto gli stipendi grazie ai soldi delle piazze di spaccio di Trappeto nord. Quindi l’operazione mise davvero in crisi il clan Santapaola-Ercolano. L’anno scorso poi venne fuori con l’operazione del Ros Agorà che Schillaci addirittura aveva un ruolo di comando nella cabina di regia di Cosa nostra etnea.

Le dichiarazioni

A mettere ulteriormente nei guai il boss sono stati, oltre le indagini e i filmati inequivocabili, le dichiarazioni di Silvio Corra, il cognato del defunto Angelo Santapaola. «Del gruppo di San Giovanni Galermo - ha spiegato Corra nel 2020 e riportato nelle motivazioni - faceva parte, fino al momento del suo arresto avvenuto a fine 2019, Schillaci, inteso l’albanese perché scuro di carnagione, che io ho conosciuto personalmente nel carcere di Agrigento dove ero detenuto, tra il 2011 e il 2012. Schillaci aveva un ruolo di comando essendo il responsabile del gruppo Nizza sin al momento del suo arresto. Schillaci - ha rivelato Corra - deteneva la carta delle estorsioni, che gestiva assieme a (omissis…) e le carte delle piazza di spaccio e degli stipendi dei detenuti». Le parole del pentito sono state dunque un formidabile riscontro per gli inquirenti e anche per il gup che lo ha condannato.

Corra è stato in grado anche di ricostruire a livello cronologico l’ascesa ai vertici del boss nel settore del narcotraffico di Cosa nostra. «Schillaci divenne responsabile, credo nel 2007, dopo l’arresto in quel periodo di […], io ero in carcere. Schillaci comunque faceva già parte del gruppo dei Mirabile essendo un uomo di fiducia di Alfio Mirabile». Quello citato dal collaboratore di giustizia è stato fin al suo agguato nel 2004 il boss che portava il nome di Nino Santapaola, fratello del capomafia Benedetto. Nel 2011 morì in una clinica.

Le dinamiche

In quel periodo cambiarono gli equilibri mafiosi. Corra ha chiarito: «Tra il 2010 e 2011 i Nizza si incontrarono con Paolo Mirabile e gli comunicarono che Schillaci era passato con il loro gruppo». E infine avrebbe assunto il ruolo «di responsabile del clan Nizza» . Un incarico che - come emerso nella ricostruzione del processo - «si occupava di rifornire le piazze di spaccio a mezzo […]».

I comportamenti “sbagliati”

Ma prima che Corra diventasse collaboratore - e quindi nel 2020 - qualcosa sarebbe successo. Schillaci avrebbe perso il “trono” per una serie di comportamenti. «Schillaci oggi non fa più parte del clan dei Nizza, sia perché si era intascato i soldi del traffico delle piazze, ristrutturando la sua abitazione, e sia perché ha lasciato sua moglie per intrattenere una relazione sentimentale con la moglie di un affiliato storico del gruppo».

Corra sarebbe subentrato nella reggenza a Schillaci. E avrebbe sistemato un po’ di problemucci che il condannato avrebbe lasciato. «Quando gestiva la carta degli stipendi cancellava i nominativi degli affiliati ai domiciliari e inoltre aveva diminuito gli importi ai detenuti da 1000 euro a 800. Io ho ripristinato - ha spiegato il pentito ai pm - lo stipendio a quelli che erano ai domiciliari».