«La guida senza casco non può essere adottata come stile di vita, va combattuta»
Il comandante della Compagnia di Piazza Dante Angelo Pio Mitrione analizza un fenomeno che definisce «una questione sociale».
Il modello di vita non può e non deve essere il non rispetto delle regole di convivenza civile. E il mancato utilizzo del casco, specie tra i giovani, non può essere inteso come uno status symbol. Come una dimostrazione di forza. Il comandante della Compagnia carabinieri di Piazza Dante, Angelo Pio Mitrione analizza un fenomeno che definisce soprattutto una «questione sociale».
«Il mancato utilizzo del casco – spiega il capitano - in determinati contesti sociali, purtroppo, è una sorta di status symbol. Di modello da emulare. Con l'azione preventiva tramite il presidio del territorio, con l'azione educativa e formativa con la diffusione della cultura della legalità nelle scuole e con l'azione repressiva cioè con le sanzioni previste dal Codice della Strada per chi non utilizza il casco, possiamo perseguire l'obiettivo di abbattere questo modello di emulazione come stile di vita. Una scelta volontaria di non aderire al rispetto delle regole: questo modello dobbiamo contrastare».
Da mesi siete impegnati nel contrasto alla guida senza casco, sempre più frequente tra i giovani...
«E' un'azione mirata di controlle del territorio realizzata per garantire l'affermazione del senso civico. L'utilizzo del casco è una di quelle condotte che determina l'educazione al senso civico in una comunità. Qui accade che soprattutto in alcuni quartieri della città – San Cristoforo, Picanello e Librino – c'è un'abitudine diffusa alla guida senza casco, che oltre a costituire una violazione delle norme del Codice della Strada è anche un pericolo per l'incolumità non solo di chi guida, ma anche per i cittadini. Ecco che per contrastare questa forma di illegalità diffusa soprattutto tra i giovani – in molti casi si tratta di minori di 18 anni, ma in altrettanti di minori anche di 14 che no potrebbero neanche guidare questi mezzi – e per inculcare loro la cultura della legalità che parte proprio dal rispetto delle regole e il casco è una delle espression i maggiori del senso civico».
Quando incrociate per strada questi trasgressori, li fermate e li sanzionate e segnalate ai genitori l'accaduto, qual è il riscontro sia da parte del minore che delle famiglie?
«E' accaduto purtroppo in determinate circostanze di rilevare che i genitori convocati sul posto – perchè il minore va riaffidato alle famiglie o a chi esercità la potestà genitoriale – abbiano minimizzato, giustificato o legittimato la condotta sbagliata del figlio. Da questo si rileva come il problema educativo e formativo è l'obiettivo da perseguire: è dall'educazione al rispetto delle regole che parte tutto».
Non solo repressione, ma anche formazione...
«L'Arma dei carabinieri investe parecchio in questo senso e lo fa andando nelle scuole, incontrando gli studenti. Un progetto annuale che ci vede coinvolti negli istituti della città e della provincia che si concentra soprattutto sull'aspetto educativo e sulla sensibilizzazione alla cultura della legalità. Formazione che unita all'azione repressiva di contrasto all'illegalità diffusa – in questo caso del mancato utilizzo del casco – può favorire comportamenti corretti e senso civico».
Le nuove misure del Governo Meloni contro la violenza minorile agevoleranno il lavoro delle forze dell'ordine o starete sempre lì a fare fronte agli stessi problemi?
«Il decreto è il dibattito attuale di una società in cui è evidente che la questione minorile esiste. E esiste anche in una città come Catania dove peraltro abbiamo registrato diversi episodi di violenza minorile. Proprio in virtù di queste considerazioni abbiamo deciso di intraprendere la campagna mirata per l'utilizzo del casco per stimolare il rispetto delle norme basilari e della convivenza comune che unite alle nuove norme che saranno introdotte potranno agevolarci nel contrasto e nella prevenzione e per la diffusione della cultura della legalità per contenere le devianze minorili».
C'è poi la questione baby gang...
«In città ci sono stati episodi violenti che si sono verificati nelle ultime settimane e per i quali abbiamo avviato indagini. Un problema che è culturale, stimolato anche dall'utilizzo improprio dei social network e dal principio di emulazione che ne deriva. Troppo spesso vengono diffusi video che inneggiano alla violenza e che provocano nel minore una sorta di fascinazione per le condotte violente. Motivo per cui anche nelle scuole puntiamo molto sull'uso consapevole dei social network sforzandoci di fare comprendere ai minori che il mondo virtuale è espressione di quello reale. Le azioni che vengono fatte sul web non vengono fatte da un'identità digitale, ma da una persona fisica e che dovrà rispondere di quelle condotte e di quelle conseguenze che quell'azione provoca». Quando andiamo nelle scuole, tra gli studenti riscontriamo un'altissima attenzione sugli argomenti che riguardano il mondo dei social network, le derive maturano da un uso inconsapevole dei social. Gli studenti percepiscono ai loro occhi uno spunto di riflessione, un esame di coscienza stimolati dalle nostre parole. E ognuno di loro rapporta le indicazioni che gli diamo, con esperienze di vita personali».