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Chiara Muti e la sfida raccolta dei "Puritani": «Bellini è tra i miei compositori adorati»

La regista racconta il nuovo allestimento dell’opera al debutto stasera al Massimo di Catania, sul podio Carminati

Giovanna Caggegi

23 Settembre 2023, 15:33

chiara muti

Chiara Muti

Amor vincit omnia. Se l’amore trionfa, anche il sacrificio e la fedeltà politica trovano posto nella trama dei “Puritani”, il capolavoro estremo di Vincenzo Bellini. E perché non immaginare che a coronare la vicenda romantica della virginea Elvira e del nobile Arturo – sullo sfondo della fosca pagina di storia inglese che nel Seicento oppone le ‘teste rotonde’ di Cromwell al regno di Carlo I - sia una epifania del Cigno, incarnazione del genio dell’Arte che oltrepassa i confini del tempo e della storia? È una delle strade percorse dalla regista Chiara Muti per il nuovo allestimento dei “Puritani” nell’ambito del Bic - ventiquattresima produzione dell’opera belliniana sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini – al debutto stasera ore 21.00 (replica martedì 26 settembre ore 17.30) che vedrà sul podio Fabrizio Maria Carminati con l’Orchestra del Bellini e il Coro istruito da Luigi Petrozziello.

A raccogliere la sfida di una partitura accuratissima, di atmosfere intime, suggestivo paesaggismo, sfumature interiori e turbamenti della psiche, Muti – attrice di formazione strehleriana e da molti anni regista d’opera spesso in tandem con il celebre papà sul podio, il maestro Riccardo Muti – torna a Catania dopo l’elegante messa in scena di “Baccanti” nel 2009 al Teatro antico con le coreografie di Micha von Hoecke in cui era autrice e interprete accanto a Pamela Villoresi.

Alla sua prima volta nella sala del Sada, la regista sarà nuovamente in Sicilia a fine ottobre al Massimo di Palermo per una ripresa del “Don Giovanni” di Mozart diretto dal padre.
«Bellini è tra i miei compositori adorati, insieme a Verdi e Mozart. La musica del Cigno è nel mio Dna perché la ascolto fin da bambina. Il colpo di fulmine fu durante la meravigliosa edizione nel 2008 di “Capuleti e Montecchi” diretta da mio padre al Covent Garden, con Edita Gruberova. Da allora ho ascoltato e studiato senza sosta i capolavori belliniani».

Il maestro Muti è tornato spesso sui “Puritani”, toccando vette altissime, come nel caso dell’incisione con Montserrat Caballé e Alfredo Kraus. Vi siete confrontati?
«Sì, parliamo sempre del nostro lavoro. Papà sarebbe stato molto felice di venire al debutto catanese ma è in partenza per Chicago. Ha un forte legame affettivo con il Teatro Massimo Bellini dove ebbe la sua prima scrittura quando era ancora un giovane e disoccupato direttore d’orchestra. Da uomo del Sud è un inguaribile sentimentale».

Nella storia registica degli allestimenti del capolavoro belliniano prevale la tendenza al minimalismo. Che ne pensa?
«Verissimo. Il lavoro di regia inciampa nel libretto di Pepoli che lascia ampio spazio alla musica che interviene a fermare la storia. Il teatro è nella voce, non nell’azione. A ciò si aggiunge la difficoltà di conciliare il tema dell’amore tra la puritana Elvira e lo stuardo Arturo, restituito da una musica di purezza neoclassica e di ispirazione romantica, con la ruvida storia del Seicento e il mondo degli intransigenti puritani».

Quale soluzione?
«Sul piano visivo adotto una cifra metafisica. L’incontro tra le due epoche si realizza in una sala vuota – forse un museo – dove le cornici dei quadri si alternano in un viaggio speculare che fa riflettere il mondo, tra Ottocento e Novecento, nella storia seicentesca dei Puritani. C’è in scena una moltitudine silenziosa vestita di nero, il coro greco di un pubblico a lutto per la morte del Cigno, che osserva e viene osservato in un continuo scambio di prospettiva temporale. Ho messo in evidenza dettagli di opere del pittore inglese Füssli che, pur appartenendo a un’epoca, anticipa le psicosi, il disturbo mentale, l’inconscio freudiano. Nel finale i puritani vittoriosi incendiano le cornici. Ci vedo le censure di tutti i tempi, la tracotanza di chi pensa di stare dalla parte giusta, e financo la deriva della cancel culture. Ma a spegnere le fiamme interverrà lo stesso Bellini, calando dall’alto come un deus ex machina, a ristabilire l’olimpica eternità dell’Arte».

Fulcro della storia, Elvira diventa folle per il presunto tradimento di Arturo e rinsavisce quando comprende che l’amato è fuggito per salvare la sua regina da sicura morte.
«Si può pensare di ambientare l’azione in un manicomio. Ma poi è difficile gestire le altre scene. L’opera va guardata nella sua totalità. Ecco perché diffido dalle improbabili attualizzazioni come dall’abbrutimento del corpo dei personaggi, specie se femminili. Ho lavorato con la protagonista, Caterina Sala, sulle visioni, i turbamenti, l’umoralità che può avere una folle. Ma il personaggio - in abito bianco come il chiarore della luna del paesaggio belliniano - è tutto nelle sue mani».

Gioacchino Lanza Tomasi dice che con i Puritani Bellini avvia una rivoluzione che la morte gli impedisce di sviluppare. È d’accordo?
«Sì. Nella figura di Elvira si sente il mondo che ha ispirato Verdi, da Gilda a Lady Macbeth. Bellini innesca il meccanismo della voce che diventa recitazione».

Qualcuno proponeva come nuovo inno nazionale la cabaletta del duetto tra Giorgio e Riccardo “Suoni la tromba, e intrepido”.
«Un duetto meraviglioso, denso di sentimenti patriottici, ma preferisco quello che la storia ci ha consegnato».