Il giallo del video della Apostolico: dalla cena con gli amici all'«incubo», ecco perché il carabiniere si tira fuori
Luogotenente (amico del deputato Carrà) in servizio a Catania tirato in ballo dallo zelo di un commensale? Se fosse così si riapre la pista del poliziotto
«Io non c’entro nulla, nella maniera più assoluta», ripete da giorni al suo avvocato. Che gli crede, anche perché ha raccolto tutti gli elementi oggettivi per confermare la tesi del suo assistito in divisa. Il carabiniere si tira fuori dal giallo sul video della giudice Iolanda Apostolico nel sit-in del 2018 al porto. E oggi, quando sarà sentito in Procura, avrà modo di spiegare com’è finito in «un incubo».
La scena madre è una cena. Negli scorsi giorni, subito dopo la pubblicazione del video da parte di Matteo Salvini, con il “riconoscimento” dell’identità della magistrata sottoscritto, prima sui social e poi in Aula, dal deputato etneo della Lega, Anastasio Carrà. Che, guarda caso, è un ex carabiniere in congedo che ha lavorato a lungo nella caserma di Piazza Dante, la stessa dove sarebbe in servizio il militare “additato” di essere il responsabile della diffusione del video. Un luogotenente originario di un paese del Siracusano, guarda caso quasi omonimo - cognomi pressoché identici, cambia solo la lettera iniziale - di un nipote carabiniere dello stesso Carrà, di cui il diretto interessato è amico. Due più due fa quattro: «Allora sei stato tu? Dicci la verità…», è la domanda che, a un certo punto, viene fuori a tavola. Lui sorride, sta al gioco. E poi - un po’ come nelle chiacchiere fra uomini, con le vanterie sulle conquiste galanti - fa lo gnorri. Non nega con sdegno l’ipotesi, proprio perché la considera «uno scherzo».
La spirale del sospetto
Ma è a quel punto che, secondo la linea difensiva che oggi sarà portata avanti, «prove alla mano», dal suo avvocato Christian Petrina, esperto di diritto militare, si entra nella spirale del sospetto. Sempre partendo da quella cena maledetta. Un collega carabiniere, in un misto fra senso del dovere ed eccesso di zelo, fornisce «comunicazione» ai superiori su quanto ascoltato. Non una «relazione di servizio», dunque, ma una dovuta segnalazione su una potenziale notizia di reato. Certo, bisogna capire come poco dopo- in uno strano gioco stile “telefono senza fili” - sia diventata una «confessione», addirittura poi «ritratta», come ufficializzato dal sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni, in Parlamento. «Il mio assistito non ha mai ritrattato, perché non c’è mai stata alcuna confessione: è totalmente estraneo a quel video», ripete il legale catanese.
Oggi, come detto, il luogotenente avrà modo di raccontare la sua verità al procuratore reggente Agata Santonocito, titolare di un fascicolo destinato a finire a Messina per competenza, visto che la parte lesa è una toga catanese.
La casella di partenza
Ma magari, se la versione del carabiniere fosse riscontrata, ci sarà ancora tempo per rispondere alla stessa domanda di sempre: chi ha dato quel video a Salvini? Dall’inquadratura è chiaro che si tratta di un esponente delle forze dell’ordine. E si torna dunque alla casella di partenza: quella degli «attivisti locali», sussurrata da fonti della Lega sin dall’inizio. Forse non proprio attivisti, ma simpatizzanti. Perché no, allora, della polizia (ma ciò non escluderebbe a priori il ruolo di Carrà, che nega tutto), forse con un file “privato” finito comunque in una chat. Certo, due più due non fa sempre quattro. Ma la somma - col fiato delle opposizioni sul collo del Viminale - in questa storiaccia di Catania non può più fare zero.
m.barresi@lasicilia.it