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La “supermafia” di Milano e i retroscena siciliani: dal summit all'autoparco degli anni Ottanta al caso di lupara bianca

Ecco cosa non c'è nelle carte dell'indagine milanese su Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra

Laura Distefano

26 Ottobre 2023, 14:14

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Ieri la Dda di Milano ha svelato un’alleanza tra Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra, una «super mafia» sorta da un sodalizio inedito per gestire affari e potere. Ma non è la prima volta che si parla di mafia consorziata.

Già negli anni Ottanta la piazza di Milano fu teatro di un accordo trasversale che accomunava uomini di Cosa nostra e boss della ‘ndrangheta. Il centro logistico-affaristico fu l’autoparco di via Oreste Salamone, la base operativa del boss scissionista catanese Jimmy Miano, ormai defunto. Miano assieme al fratello Nuccio diventò il capo dei ‘Cursoti Milanesi’ che riuscì a creare un impero criminale all’ombra della madonnina. I mafiosi etnei strinsero accordi con Francesco Coco Trovato, potente ‘ndranghetista. All’autoparco avvennero decine di summit in cui furono decisi omicidi e strategie criminali che interessarono tutta Italia. Alcuni pentiti dissero che fosse il quartier generale del ‘consorzio’ delle mafie costituitosi tra il 1986 e il 1987. Il blitz che portò in carcere i boss dell’autoparco di Milano però fu firmato dai pm di Firenze nel 1992.

Doppie affiliazioni

Le doppie affiliazioni mafiose non costituiscono una novità nella storia della mafia in Italia: nel processo di Reggio Calabria ‘ndrangheta stragista si fa cenno a camorristi e calabresi pungiuti due volte. E poi in un pizzino scritto dal boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, morto al carcere de L’Aquila lo scorso mese dopo la cattura da latitante trentennale, si parla della “Super Cosa” creata dal capo dei capi Totò Riina per rispondere alla creazione dell’Antimafia nazionale.

L’indagine milanese da cui emerge l’esistenza di un sistema mafioso lombardo, che però è stata smentita dal gip, rafforzerebbe solo l’ennesimo tentativo delle forze criminali organizzate di mettersi assieme per essere più potenti contro gli strumenti normativi e repressivi dello Stato. «Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno!», dice uno degli indagati milanesi in uno dei summit intercettati.

Il pentito

Ma a dar vita alle indagini c’è un pentito, Emanuele De Castro, ex affiliato della locale della ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo. Il collaboratore fa il nome di Gaetano Cantarella, u curtu, ritenuto dagli inquirenti uomo vicino ai Mazzei di Catania, per essere imparentato con la moglie del capo dei carcagnusi, Rosa Morace (ma assolto dall’accusa di mafia nel processo Scarface).

Da diverso tempo a Milano, Cantarella nel 2020 torna in Sicilia per Sant’Agata, ma il 3 febbraio scompare nel nulla. Per i pm milanesi è vittima di lupara bianca: la sua morte sarebbe stata decisa dal consorzio mafioso lombardo. Il teorema anche stavolta è stato bocciato dal gip.

La vecchia conoscenza

Nelle carte milanesi è comparsa un’altra vecchia conoscenza dei Mazzei, William Cerbo che a Milano viveva in un appartamento con attaccati i quadri con il personaggio di Tony Montana. Per i pm sarebbe l’esponente dei Mazzei nella società lombarda della mafia. Per il giudice mancherebbero pezzi a sostegno dell’accusa. Ma intanto al catanese è stato inviato l’avviso di conclusione indagini.