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«Una città che si “annaca” e non si muove», così Catania secondo il prof Enrico Iachello

Di Gianluca Reale |

«Una città che si “annaca”, ma resta ferma». Come le candelore per la festa di Sant’Agata. Enrico Iachello parla senza peli sulla lingua. Come sempre. Ed è questa l’immagine che ha della città, della sua classe dirigente e politica. Da due anni è tornato a Catania, dopo averne trascorsi quattro «per motivi personali e di lavoro» a Milano. Chiedere di fare un confronto è banale, ma inevitabile.

«Il disagio – dice il professore – è forte. Si passa da una realtà come la nostra, in cui tutte le cose della quotidianità sono complicate, a una dimensione europea. Rimanendo nel mio ambito di studioso, dico che a Catania si studia male. Abbiamo biblioteche con un patrimonio librario scadentissimo. Diceva Mazzarino negli anni 50: “Catania è una città senza libri”. Non è cambiato niente. Le responsabilità sono di tutti e io mi assumo le mie. Ma il gap è difficile da colmare. Poi abbiamo gioielli come la Biblioteca Ursino Recupero che non so da quanti anni è senza altro personale che la direttrice. Ma prendiamo la biblioteca regionale universitaria, da quanto non fa più acquisti? A Milano si studia come a Parigi, i libri ci sono tutti, le biblioteche funzionano benissimo e sono attrezzatissime».

Perché non si sono fatti acquisti?«Non so, trascuratezza, mancanza di risorse e un po’ anche di interesse».

Un segnale dello stato culturale della città?«Catania, come sempre, è contraddittoria. Lo stato culturale della città è abbastanza vivace, basta guardarsi intorno. La nostra Università, pur con le sue contraddizioni e i problemi comuni a tutti gli atenei, resta una Università di qualità».

Cosa manca allora?«La sinergia, il fare sistema. A Milano questo si coglie, qui ciascuno lavora per i fatti suoi. Non credo sia stato sempre così. Questa città nella sua storia ha avuto capacità di fare squadra. È diventata il polo di riferimento per tutta la Sicilia orientale dopo il crollo di Messina perché ha avuto una classe dirigente capace di proporla. Siamo stati una città rinata da un terremoto e poi dalla seconda guerra mondiale».

E dove abbiamo perso lo spirito di fare squadra?«Gli anni 60-70 sono stati anni di decadenza in cui si è perso respiro culturale. Ci fu una fase di ripresa culturale ed economica negli anni 70-80. Ma dalla caduta dei cosiddetti cavalieri dell’apocalisse la città non si è più ripresa».

Poi c’è stata la stagione dei sindaci.«Abbiamo pensato che la politica ci avrebbe salvato. E invece si è rivelata effimera, anche se ha prodotto cose interessanti. Ricordo le prime amministrazioni Bianco come un momento alto della vita amministrativa, tuttavia la città andava comunque per i fatti suoi. I problemi si risolvono attraverso le capacità che hanno i cittadini di crescere economicamente e civilmente, invece la politica si è appiattita al contesto di mediocrità».

Il suo maestro è stato Giuseppe Giarrizzo. Oggi gli intellettuali dove sono finiti?«Giarrizzo era una figura eccezionale. Da storico, sentiva fortissimo l’impegno civile. Oggi gli intellettuali hanno un po’ ripiegato perché il contesto è sfiancante. Quando sono tornato a Catania, per 15 giorni ho portato io nei cassonetti l’immondizia che veniva depositata davanti alla porta dei Benedettini. L’Università aveva segnalato, ma nessuno aveva mosso un dito. Al sedicesimo giorno forse avrei mollato anch’io. La cosa l’ho messa su Facebook e si è intervenuto».

Lei usa molto i social.«Sì, esprimo il mio impegno civile attraverso Facebook soprattutto. Trovo sia un modo di stare in “piazza” positivo. Per esempio, a piazza delle Belle c’era una delle pochissime edicole votive con l’affresco originario. Un giorno vedo un ragazzo che lo aveva ricoperto con l’effige di una Madonna dai colori sfavillanti, tipo Sud America. Ho minacciato denunce sul social. L’hanno riportata com’era».

Torniamo agli intellettuali. Sono assenti?«Di tanto in tanto c’è qualche fiammata. Maurizio Caserta, ora Paolo La Greca. Ma non c’è il tessuto intorno che alimenti il dibattito. C’è una città rassegnata, piegata da una crisi devastante».

A Catania non ci sono più viceré?«È una fandonia di De Roberto, grande scrittore: il viceré non c’è stato mai. Non lo era neanche De Felice. Catania un tempo ha avuto la fortuna di avere classe dirigente di livello, una élite che in vari momenti ha promosso la qualità della città. Oggi questa élite non c’è e la politica esprime l’attualità».

A proposito di politica, la sinistra a Catania esiste ancora?«Come formazione appartengo a una sinistra moderata e riformista e mi sono tesserato al Pd nel momento di massima difficoltà di Renzi. Ma l’accoglienza che ho avuto sono stati gli sberleffi. Non esiste una comunità politica, il Pd è fatto solo dai vari notabili. Essendomi sganciato da Bianco, non ero nessuno. Ho smesso».

Benedettini: l’Università ha avuto un impatto sul quartiere?«L’Università fa quel che può, ma i Benedettini svolgono un ruolo nel quartiere. Adesso all’Antico Corso esiste persino una macchinetta di distribuzione della cannabis legale. In altri tempi ci sarebbe stata una reazione violenta degli spacciatori».

A Barcellona il museo Macba ha recuperato un rione degradato. «A Catania il Castello Ursino è invece diventato il feudo di Vittorio Sgarbi, che porta cose un po’ “leggerine”. Com’è finita col patrimonio delle collezioni Biscari e dei Benedettini? Ecco la politica dell’ “annacamento”. Castello Ursino è la grande occasione mancata. Quel grande patrimonio andrebbe riorganizzato e rivalutato. E siccome è esorbitante, potrebbe anche girare in città, nei quartieri periferici, nelle scuole. Il patrimonio culturale serve a creare una identità collettiva».

Lei che ci vive, come vede il centro storico?«Sono arrivati i turisti. Indubbio. Ma il turismo è arrivato perché il terrorismo ha chiuso le destinazioni del Nord Africa. Nessuno ha fatto nulla. Chi si vanta si “annaca” e basta. Il turismo è un fenomeno positivo, con risvolti che possono diventare negativi. Ci vorrebbe una riflessione, sono processi che vanno un po’ orientati. Invece c’è un’anarchia totale».

Non vede esperienze positive?«Mi pare che si viva alla giornata, eppure segnali interessanti qua e là ci sono. A San Berillo “Trame di Quartiere” sta facendo cose di valore. Il venerdì sera, Franchina racconta con il vangelo il suo percorso di riscatto morale, dalla prostituzione alla sua salvezza. Sono segnali di risveglio della società civile».

Con lei è nata anche l’esperienza di Officine Culturali ai Benedettini. «Un modello che ho inventato con quei ragazzi e che ha prodotto posti di lavoro. Perché non lo ampliamo a tutta la città? Perché non dire: Officine Culturali, gestisci anche il Parco archeologico o le Terme dell’Indirizzo, inaugurate e poi non più visitabili. Per l’anfiteatro di piazza Stesicoro si era proposto l’Ibam-Cnr».

Serve una nuova creatività di pensiero?«Tutto oggi è diventato mafia o antimafia, siamo rimasti prigionieri di una cosa che ci avvita, non c’è una questione di respiro progettuale».

Tutto il dibattito adesso è su mafia o antimafia?«Il caso Ciancio ha riportato tutto a questo. Ma questo non ci aiuta ad affrontare i problemi veri, non ci aiuta a riflettere su come si governa il fenomeno del turismo, su come si valorizza il patrimonio culturale. Croce diceva che l’onestà del politico è la sua competenza e la sua capacità di offrire servizi. Invece siamo una città che si “annaca” dietro la Santa. Per folclore. E non affronta i problemi reali. Perché queste mostre d’importazione quando le nostre biblioteche non funzionano, la Ursino Recupero non ha il personale, la spazzatura è sempre lì, i cittadini sono incivili? Ma se non li educhiamo, anche facendo pagare chi sbaglia, come possiamo uscirne? La politica deve svolgere il suo lavoro vero, educare».

Una cosa di Catania di cui non può fare a meno?«Sento molto il fascino del Vulcano sulla città. Spesso mi sorprendo catturato dalla visione dell’Etna, dalla Piana o da Agnone. Il mare, la città, la montagna, come nelle stampe cinquecentesche. Per me è un incanto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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