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Condannato a 7 anni per estorsione Turi Ercolano, il boss che si cucì la bocca al maxi processo

Ex storico esponente di Cosa Nostra e cugino di Nitto Santapaola, dopo la scarcerazione , avrebbe offerto protezione al titolare di un autolavaggio in cambio di denaro.

Redazione La Sicilia

25 Marzo 2024, 17:05

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Durante il maxiprocesso di Palermo divenne celebre quando, per protesta contro i pentiti, si cucì la bocca con una spillatrice. Oggi il 74enne Salvatore Ercolano detto Turi, ex esponente storico di Cosa Nostra, è stato condannato a sette anni e sei mesi di carcere dal tribunale di Torino per una vicenda di estorsione: secondo l’accusa, tra il 2018 e il 2019, insieme a dei complici, avrebbe offerto protezione al titolare di un autolavaggio in cambio di denaro.

Ercolano, cugino del boss Nitto Santapaola, fu tra i condannati del maxiprocesso. A Torino era tornato in libertà dopo aver trascorso in carcere alcuni decenni. Nel nuovo processo, dove è stato difeso dall’avvocato Salvo Lo Greco, gli è stata contestata anche l’associazione di stampo mafioso.

Per un secondo imputato, chiamato a rispondere di una violazione della legge sulle armi (è assistito dall’avvocato Domenico Peila), è stato disposto il proscioglimento.

Nel maxiprocesso di Palermo. come detto, fece parlare di sé all’udienza del 21 maggio 1986, quando si “sigillò” le labbra forandole con una spillatrice da tavolo e fece leggere da un compagno di gabbia un messaggio in cui smentiva ciò che dicevano i collaboratori di giustizia sul suo conto. «L’unica mia difesa - spiegava - è la bocca. Ma a questa bocca non crede nessuno. Così me la sono cucita». Poi si mise a fumare inalando il fumo della sigaretta da una narice. La scena è stata riprodotta anche nel film del 2016 “Il Traditore” di Marco Bellocchio, dedicato alla figura di Tommaso Buscetta.

In bianco e nero

La storia di Salvatore Ercolano rimanda a un’epoca di foto in bianco e nero, pagine ingiallite, atti processuali scritti a macchina. A Torino ha sempre avuto i suoi interessi e, secondo gli investigatori, nei primi anni Ottanta era una sorta di referente locale della famiglia catanese di Cosa nostra «Ercolano-Santapaola» in una città dominata da un lato dalla ‘ndrangheta e dall’altro dal “Clan dei Cursoti catanesi”, la banda criminale dei fratelli Miano (il più famoso Roberto ”Jimmy”, morto nel 2005 a Milano) che a Torino aveva il controllo degli affari illeciti, specialmente gioco d’azzardo, prostituzione e traffico di eroina. Un pentito - citato nella sentenza del maxiprocesso - spiegò che Ercolano era inserito nel traffico di droga. Nel 2015, a Torino, «Turi» fu fotografato dai carabinieri mentre si intratteneva con i componenti di una famiglia legata alla ‘ndrangheta.