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Etna, tra eruzione in calo e sciame sismico l’ineluttabile scivolamento verso il mare…

Di Alfio Di Marco |

CATANIA – Una botta secca, forte (magnitudo 4.1), in grado di interrompere il sonno degli abitanti di Milo, Linguaglossa, Sant’Alfio, ma per fortuna senza provocare danni a persone o a cose: la terra ha tremato ancora sull’Etna. È avvenuto l’altra notte, all’una meno dieci: epicentro a nord-ovest di Milo, ipocentro a una profondità di due chilometri.

«Proprio poche ore prima – spiega Mario Mattia, esperto di deformazione del suolo dell’Osservatorio Etneo dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) –, dal punto di vista del “conteggio burocratico”, avevamo dichiarato concluso lo sciame sismico iniziatosi il 24 di dicembre. Più di tremila scosse di terremoto che hanno accompagnato e seguito l’intrusione magmatica all’interno dell’edificio vulcanico. Sapendo bene, comunque, che la partita non era e non è ancora chiusa. La risposta il Gigante ce l’ha data da lì a poche ore, proprio nell’area più fragile della sua struttura, quel versante orientale contraddistinto da una infinita miriade di faglie e micro-faglie che si affiancano alla frattura più importante, quella della Pernicana. E il terremoto – continua Mattia – ha avuto il suo punto focale proprio lungo questa linea di svincolo su cui si trasferiscono tutti gli stress determinati dalle deformazioni più superficiali del suolo. Per capire cosa è accaduto e cosa sta continuando ad accadere dobbiamo tornare alla Vigilia di Natale, quando un imponente dicco magmatico ha fatto irruzione alla base dell’edificio vulcanico. Nel ventre della montagna, a una quota di 1.000 metri, il fiume di fuoco ha aperto una fenditura larga tre metri e mezzo, facendosi strada fra le rocce e gli strati più teneri del sottosuolo».

«L’intrusione, che a livello sommitale ha dato vita a una breve fase eruttiva ed esplosiva, ha provocato anche un massiccio disequilibrio fra le strutture solide del vulcano. In pratica, ogni segmento ha cominciato a cercare un nuovo assesto, determinando l’innesco di una intensa fase di stress che a sua volta ha generato una persistente energia sismica. È stato così – continua l’esperto dell’Ingv – che abbiamo avuto l’evento di magnitudo 4.9 sulla faglia di Fiandaca, quello che tanti danni ha provocato a Fleri e nell’area dell’Acese. E poi il terremoto della scorsa settimana a Ragalna. Dalle osservazioni satellitari sapevamo già che il campo di sforzo maggiore, ancora una volta, era ed è concentrato sul versante orientale del vulcano, quello più debole. I rilevamenti GPS ci mostrano chiaramente una rotazione dell’edificio vulcanico verso Est, verso il mare. Rotazione dovuta allo scarico dello stress lungo gli assi principali di svincolo”.

«Tutto il versante orientale dell’Etna – spiega ancora Mario Mattia – è composto da un complesso di blocchi simili alle tessere di un grande puzzle. Le linee lungo cui si affiancano le singole tessere sono le faglie attraverso le quali defluisce l’energia generata dagli stress. Che possono essere di diversa natura: una è la deformazione dovuta a un’intrusione magmatica che porta a una sequenza frenetica di terremoti anche di magnitudo superiore a 4.0. Un’altra è la deformazione persistente dell’assestamento tettonico che genera i cosiddetti terremoti lenti: al momento non li avverti, ma se nell’arco di mesi ne sommi l’energia arrivi ad ottenere una magnitudo superiore a 6.0».

«Questo scivolamento lento verso il mare è una caratteristica tipica di un vulcano come l’Etna. Accade anche sul Kilauea alle Hawaii, ma lì in maniera più traumatica. Sul nostro vulcano gli effetti dei terremoti lenti li osservi nel tempo sul terreno. Nella zona delle Timpe, a Santa Tecla, Pozzillo, Acitrezza, o a San Gregorio: le strade che poco alla volta si squarciano, le case che si spezzano come biscotti, i muri di contenimento che si lesionano. Lo abbiamo registrato più volte: di recente, nel 2009, nel 2012 e nel 2016».

«Ma torniamo all’evento di Milo – conclude Mario Mattia –. Cosa dobbiamo aspettarci? Al di là dei terremoti, è chiaro che l’intrusione di magma si è arrestata per un calo di energia: in pratica, è venuta meno la spinta dei gas. A questo punto, l’eruzione potrebbe letteralmente abortire. Potrebbe però anche accadere che la fase di decompressione richiami dal profondo altro gas e questo inneschi una nuova fase eruttiva. Allo stato, dunque, non si può far altro che vigilare e attendere».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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