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Infermiere killer al Cannizzaro, per i consulenti «non è certa la correlazione tra la morte e il cocktail di farmaci»

In corte d'assise il processo all'uomo accusato dopo essere stato sentito dai suoi psicologi

Laura Distefano

05 Giugno 2024, 13:01

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La consulenza dei tre periti nominati dalla Corte d’Assise nel processo per omicidio che vede imputato l’infermiere Vincenzo Villani Conti è stata depositata. Ai professori Alberto Salomone, Fortunato Stimoli e Cataldo Raffino il collegio ha chiesto di analizzare la documentazione clinica inerente ai decessi delle due pazienti, che secondo l’accusa sarebbero morte a causa della somministrazione di un cocktail rivelatosi fatale di farmaci che furono rubati dalle scorte dell’ospedale Cannizzaro, che si è costituito parte civile nel processo con l’avvocato Eleonora Baratta.

Le accuse

L’infermiere, durante il turno di notte, avrebbe iniettato alle due donne una dose massiccia di Diazepam e Midazolam per vendetta nei confronti dell’Azienda ospedaliera da cui si sarebbe sentito maltrattato. Villani Conti, difeso dall’avvocato Salvatore Liotta e Francesco Calabrese, avrebbe fatto una sorta di confessione agli psicologi. Proprio da quelle rivelazioni partì l’inchiesta che portò all’arresto dell’imputato.
Il prossimo 2 luglio il medico legale, il docente di chimica dell’Università di Torino e l’anestesista riferiranno su quanto hanno messo nero su bianco nella relazione di quasi 200 pagine che è già a disposizione delle parti processuali.

Cosa dice la perizia

«La causa della morte delle due pazienti - si legge nella perizia - si ricava solo dagli elementi di natura documentale in atti, non rinvenendosi alcun dato macro-microscopico necrosettorio da potersi utilizzare inclusivamente nella formulazione di una razionale causa della morte». Che per la prima sarebbe da «ricondursi a uno scompenso cardiaco» e per la seconda a «una cachessia con disfunzione multiorganica». Uscendo dal gergo medico-legale i tre consulenti riconducono la morte a delle patologie.
Partendo «dalle risultanze delle analisi tossicologiche», i tre consulenti scrivono che «nessuna conclusione può essere raggiunta su quale sia stata la quantità somministrata di Diazepam e Midazolam».
Ma andiamo al tema centrale dei quesiti posti dall’Assise. E cioè la causa della morte. Che per i consulenti «non è possibile attribuirla con un livello di probabilità vicino alla certezza alla somministrazione nelle ore immediatamente precedenti di quindici milligrammi di Diazepam e Midazolam, pur tenendosi in debita ponderazione le condizioni di salute in cui versavano entrambe le pazienti, dei tempi di insorgenza dell’effetto atteso e del sopraggiungere dell’evento morte».

A ostacolare l’accertamento della correlazione tra le morti e il cockail di farmaci ci sarebbero alcuni fattori: l’impossibilità di conoscere tempo e modalità di somministrazione. «Non è possibile affermare con criterio di probabilità logica e di credibilità razionale, che la dose (X) somministrata, la modalità (X) e il tempo di somministrazione (in bolo?, in flebo? e in quanto contenuto residuo di flebo?) siano da porre in correlazione causale diretta con il decesso delle pazienti perché elementi non possibili da ricavare con consapevolezza scientifica e precauzione del dato tecnico», concludono Salamone, Stimoli e Raffino.