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«Mio nonno Giovanni Lizzio, il poliziotto "mascariato" e ucciso due volte»

Antonio Guglielmino è il nipote dell'investiogatore assassinato dalla mafia a Catania nel 1992: «Storia poco raccontata»

Laura Distefano

29 Luglio 2024, 09:48

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Vuole far capire che i giovani di oggi sono attenti osservatori del presente e costruttori di un domani migliore. Un domani senza mafie. A parlare, a cuore aperto, è Antonio Guglielmino, nipote di Giovanni Lizzio, il poliziotto ucciso da un commando di Cosa nostra il 27 luglio 1992. Antonio non ha mai conosciuto il nonno, ma sente fortissimo un legame con lui. Studia giurisprudenza e parallelamente lavora come commesso in un negozio di abbigliamento. Il giorno dell’anniversario ha realizzato un video social per condividere la storia del nonno-eroe.

Nel suo video su Instagram racconta che ha saputo la storia di suo nonno per caso. Ci spiega?

«È andata esattamente così: mi trovavo in seconda media e la nostra professoressa ci raccontò della storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quel giorno tornai a casa e raccontai a mia madre della lezione e lei mi disse una frase che porterò per sempre con me: “Tuo nonno è diventato un bellissimo angelo perché delle persone cattive lo hanno ucciso”. All’inizio non capii a fondo il significato di quella frase e andai nella mia stanza, presi il mio computer e digitai il nome e cognome di mio nonno. Non so perché feci quel gesto, ripensandoci bene oggi. Iniziai a leggere gli articoli online e capii subito. Non nascondo che la prima reazione fu quella del pianto. Nei giorni successivi a quell’evento in classe parlai anche di mio nonno. Dopo quel giorno iniziai per la prima volta a conoscere nonno Gianni tramite le storie di amici e parenti».

Cosa l'ha colpita di più della vicenda che ha coinvolto suo nonno?

«Sicuramente la cosa che più mi ha colpito è stato il silenzio che c’è stato e quei tentativi di gettare il fango sulla figura di un uomo che amava la sua città».

Giovanni Lizzio è considerato oggi un eroe. Ma non è stato sempre così. Il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita ha detto che «fu ucciso due volte». Condivide questa considerazione?

«Condivido perfettamente le parole del dott. Ardita, persona che stimo infinitamente. Nonno è stato ucciso fisicamente con quei colpi di pistola la sera del 27 luglio. Ma non solo. Nonno è stato ucciso quando gli venne attribuito, dopo la sua morte, il titolo di “poliziotto corrotto”, quando il suo delitto non era di stampo mafioso ma una regolazione tra conti di famiglie mafiose o, addirittura, che quello fosse un delitto passionale. Tutti tentativi di screditare l’operato e la figura di un poliziotto onesto. Poi arrivano le rivelazioni di pentiti e le prime sentenze dove si mise a fuoco la situazione. Credo, anzi, sono fermamente convinto, che l’onestà e la correttezza di mio nonno siano state le sue armi per difendersi, anche da morto».

Qual è la più importante eredità di suo nonno?

«Le eredità più importanti sono il coraggio e la libertà. Entrambe sono parole che sprigionano un senso di grande potenza. Non ho mai sopportato le ingiustizie, qualunque esse siano e soprattutto quando vengono esercitate sui più deboli. La storia di mio nonno mi insegna non stare zitto mai e per nessuna ragione».

Oggi i giovani sono molto indifferenti alla lotta alla mafia. Come mai secondo lei?

«In realtà non sono d’accordo. Giro già da diversi anni le scuole di ogni ordine e grado e incontro tanti studenti e tante studentesse. Le migliori domande e/o curiosità partono proprio da loro. Sono loro che chiedono di sentir parlare di lotta alle mafie. Quando ho scelto insieme al mio amico Giuseppe di creare questo video, è stato proprio per arrivare ai ragazzi della nostra generazione. Sono loro che hanno reso virale il video e l’hanno diffuso. Vorrei, per una volta, spostare i riflettori sulla generazione precedente alla nostra. La storia di mio nonno è stata poco raccontata perché quelle coscienze non si sono ribellate e non hanno rivendicato la sua morte».

Si fanno tante passerelle per le vittime di mafia. La storia di suo nonno ci insegna che servono atti concreti per cambiare le cose?

«Particolare come tema quello delle “passerelle”. Personalmente, come famiglia Lizzio, siamo sempre stai molto attenti nelle organizzazioni delle attività per la memoria di nonno, proprio per evitare che qualcuno possa strumentalizzare per propri fini questa triste storia. Per combattere il fenomeno criminale non basta dare ordini dall’alto, piuttosto bisogna scendere lì dove risiede il problema. Questo è uno degli insegnamenti che la storia di nonno mi ha dato».

Cosa significa per lei essere nipote di Giovanni Lizzio?

«Essere nipote di Giovanni Lizzio è sicuramente motivo di orgoglio. Significa essere responsabili e dover dare l’esempio sempre. Non posso incontrare i ragazzi, portare dei valori e poi fare altro. Avere come nonno Giovanni Lizzio significa anche rassegnarsi al fatto che non conoscerò mai un suo abbraccio, una sua carezza o semplicemente un consiglio. Non nascondo che nonno manca sempre. Ma so che, da qualche parte, lui guarda tutto e spero che possa essere fiero di me».