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Aeroporto Catania, conferme, addii e clamorosi ritorni: ecco il “risiko” delle nuove nomine

Di Mario Barresi |

Catania – Non è il padrone di casa. Ma un ospite. Graditissimo. Accolto con i dovuti onori. Quando Nello Musumeci arriva alla Sac il convegno in cui è stato annunciato lo “shopping” aeroportuale (acquisizione della maggioranza di Comiso) è già finito da un pezzo. Ma il governatore, che custodiva già la notizia da qualche giorno, si congratula con i vertici di Fontanarossa: «I due aeroporti non facevano sistema, adesso sì. E anzi vi dico che, se Palermo dovesse fare ancora resistenze, verrò a prendermi un caffè qui con voi per parlare dell’idea di mettere in questa rete anche Trapani». Gli sguardi di Piero Agen e di Nico Torrisi, mentre l’interlocutore istituzionale fa questa promessa-minaccia non sono proprio di gioiosa approvazione.

Ma tant’è. Perché il blitz di ieri pomeriggio è servito anche a ufficializzare la benedizione di Palazzo d’Orléans rispetto all’altra operazione calda di questi giorni: la «cessione del pacchetto di maggioranza a partner privati», come la definisce il “socio forte” della Camera di Commercio del Sud-Est. Ma che non è altro che una privatizzazione fino al 70% delle azioni di una società che «vale anche più di un miliardo». La presenza di Musumeci rafforza questo percorso. Con parole chiare: è «una necessità, non è una scelta», dice il governatore, pur precisando che «il sistema deve mantenere un forte controllo pubblico e bisogna vigilare al meglio in tutto l’iter».

Non è certo una posizione dovuta. Ma il presidente della Regione la esprime, forte e chiara. Anche per lanciare un messaggio all’esterno. Rivolto a chi – dal ministro Toninelli in giù, fino alle associazioni locali – si oppone a «una strada ineludibile», certifica Vito Riggio, consulente del governatore dopo una vita al vertice di Enac. E non è neppure un appoggio necessario. Perché sono lontani i tempi in cui la Regione (che di fatto comandava in casa di tutti gli enti soci di Sac attraverso una raffica di commissari) era la padrona di Fontanarossa. Oggi la Camera di Commercio del Sud-Est (leggasi Agen) detiene oltre il 62% della società che gestisce l’aeroporto di Catania e adesso, di fatto, anche quello di Comiso. E dunque l’ex presidente di Confcommercio Sicilia, che per sua stessa ammissione ha «votato per i grillini, pur mantenendo la libertà di dissentire da quello che stanno facendo ora al governo», potrebbe davvero fare tutto ciò che vuole. Senza chiedere vaticini al governo regionale, oggi socio di Sac con una quota infinitesimale attraverso l’Irsap, e «senza alcuna intenzione di acquisire ulteriori azioni della parte pubblica», come garantisce Musumeci. Che non è Crocetta. Nello stile e nella gestione delle relazioni istituzionali, oltre che nel mutato rapporto di forze fra le parti.

«Le istituzioni devono fare l’arbitro», ha ripetuto il governatore ai vertici di Fontanarossa. Anche dopo la conferenza stampa, in un pranzo ritardato (alle 17, in una saletta riservata del nuovo McDonald’s inaugurato proprio ieri), «perché non sono riuscito a mangiare nulla». E così, fra un’insalata presidenziale e un hamburger forzato per i commensali che non volevano lasciarlo desinare da solo, si parla del futuro di Sac. A partire dalle prossime date. La più importante è segnata in rosso nel calendario di Fontanarossa: 29 aprile. Quando cioè scade l’attuale Cda della società, un compromesso fra politica e istanze delle imprese partorito in epoca crocettiana. E anche qui il discorso ha lo stesso filo degli altri. Condividere le scelte (dei soci camerali) con il governo regionale, senza l’assillo di doverle concordare. Ma con la galanteria istituzionale di parlarne. E se n’è discusso, nel pranzo-merenda. In serenità. Anche perché c’è un sostanziale accordo. Su tutti i punti. A partire dalla conferma dell’amministratore delegato Nico Torrisi («il mio amico Nico», lo chiama Musumeci in conferenza stampa), forse come unico elemento di continuità rispetto al presente che fra poco sarà passato. E non è un caso, allora, che il governatore – in un lapsus rivelatore – chiami «professoressa Brandara» il presidente Daniela Baglieri, rivelando freudianamente più di un pregiudizio su una nomina che tre anni fa nacque in un contesto dove Beppe Lumia era il dominus delle scelte più delicate. C’è già un nome per la successione? Non è ancora ufficiale, ma nei corridoi di Sac e di CamCom l’identikit è già sussurrato: «Un esponente del mondo camerale ragusano, per rafforzare la nuova unità con Comiso, ma che abbia esperienze da manager nel settore».

Nella governance che traghetterà Sac ai privati ci sono altre tre caselle di consiglieri. Due, di Regione e Comune di Catania, potrebbero essere colorate di rosa. La terza, con un imprimatur camerale, sarà un elemento di forte rottura col recente passato. Perché il candidato più autorevole a occuparla è Fabio Scaccia. Che, oltre a essere un imprenditore etneo d’eccellenza nel campo della farmaceutica a livello mondiale, è anche la vittima sacrificata sull’altare della legalità confindustriale (più da Ivan Lo Bello, ma anche da Antonello Montante) con un accerchiamento che all’epoca rasentò la violenza. Può essere un’idea, nel new deal di Fontanarossa. Per tagliare l’ultimo cordone ombelicale del passato. Ma anche per una rivincita, sociale e umana, rispetto a una storia diversa. Che adesso, appunto, è cambiata. E fra un po’ lo sarà del tutto.

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