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Racket, il "pizzo" imposto dai boss santapaoliani: 3 condanne

La vittima è Mario Cavallaro, ora testimone di giustizia.

Laura Distefano

09 Aprile 2025, 16:05

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L’incubo è cominciato 20 anni fa. Quando boss di lignaggio dei Santapaola-Ercolano si presentarono nel cantiere di Centuripe, nell’Ennese, chiedendo 20mila euro a titolo di “messa a posto” per la famiglia mafiosa di Cosa nostra ennese. Mario Cavallaro, testimone di giustizia, fu vittima anche di pesanti minacce direttamente nella frazione di Belpasso, a Piano Tavola, dove aveva sede l’azienda. Se non avesse pagato lo avrebbero messo «dentro i copertoni». Negli anni ’90 i killer di mafia dei “Malpassoti” bruciavano i cadaveri con i pneumatici.

Era il 2005, ancora Ignazio Barbagallo non era un collaboratore di giustizia. Il capomafia fu poi arrestato nel summit di Belpasso con Santo La Causa nel 2009. A taglieggiare Cavallaro anche il boss di Mascalucia, Mirko Pompeo Casesa, e Nicolò Squillaci, figlio di Pippo “Martiddina” di Piano Tavola e fratello del pentito Ciccio che ammazzò il poliziotto Gianni Lizzio. Ma dietro le richieste estorsive c’era anche l’imprenditore Santo Tomasello. Cavallaro nel 2015 fa un esposto alla procura da cui scaturisce il processo che si è concluso ieri davanti alla seconda sezione penale del Tribunale: Tomasello è stato condannato a 6 anni e sei mesi, Squillaci a 8 anni e 4 mesi, Casesa 6 anni. Prescrizione per il pentito Barbagallo. I tre condannati dovranno risarcire la parte civile: stabilita una provvisionale di 20.000 euro.


L’avvocato Riccardo Frisenna, che ha assistito Cavallaro, si fa portavoce di una soddisfazione mischiata ad amarezza «perché tra tempi della giustizia e burocrazia, nel frattempo, l’imprenditore ha perso tutto».