«Così la camorra ha messo le mani sull'appalto dei rifiuti a Catania»: le intercettazioni che tirano in ballo Giuseppe Castiglione
Un pentito parla di incontri con l'ex presidente del Consiglio comunale etneo
«Si trattava di un grosso appalto, di centinaia di milioni di euro». Quando la camorra ha messo gli occhi sull’appalto per la raccolta dei rifiuti nel Comune di Catania lo ha fatto per i soldi: quei famosi 350 milioni di euro per sette anni, divisi in tre lotti, che nessuna azienda sembrava volersi aggiudicare mai.
Una seduta deserta dopo l’altra, alla fine è arrivata la vittoria. Con l’intercessione, secondo le dichiarazioni del presunto camorrista Mimmo Romano, di Giuseppe Castiglione, autonomista, ex presidente del Consiglio comunale, adesso agli arresti domiciliari per voto di scambio politico-mafioso nell’ambito dell’inchiesta Mercurio.
In questa storia, che parte dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giuseppe Castiglione non è indagato. Ma il suo nome è legato con più di un nodo agli imprenditori Carlo e Vittorio Ciummo, figlio e padre, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. A loro fa capo la società Supereco, che si è aggiudicata la gestione dell’immondizia nel lotto Nord del Comune di Catania. Un affare da 76,3 milioni di euro. Secondo gli investigatori campani, i Ciummo avrebbero ottenuto una serie di agevolazioni dai legami con l’imprenditore, ora ritenuto esponente del clan dei Casalesi, Nicola Ferraro. E, nel caso della gara etnea, dai contatti di quest’ultimo con Cosa nostra catanese.
È il 2023 quando Romano comincia a parlare con la giustizia. È lui l’uomo attraverso il quale Ferraro avrebbe contribuito a inquinare il settore della raccolta dei rifiuti. A novembre di quell’anno, seduto davanti ai magistrati napoletani, Romano fa mettere a verbale il coinvolgimento di Giuseppe Castiglione nell’aggiudicazione della gara di Catania ai Ciummo. Gli imprenditori di Cassino avrebbero incontrato anche Santo Castiglione, padre di Giuseppe, morto alla fine del 2023. «Ferraro mi chiese - riferisce il pentito ai magistrati - se potessi io introdurre Ciummo a Catania per facilitarlo nell'aggiudicazione. Mi attivai in tal senso con un mio amico di lungo corso, tale Crescenzo Castiello, che io chiamo “o schiasso”, il quale possiede delle ottime entrature in terra siciliana». Un amico tira l’altro, un’entratura chiama la successiva.
Sarebbe stato Castiello a dire che «che avrebbe parlato con il presidente del consiglio comunale di Catania, tale Giuseppe Castiglione, persona che egli conosceva molto bene». In base al racconto, è Castiglione a dire che sì, l’affare si può fare. La camorra, però, sembra dire il pentito, arriva con qualche passo di ritardo. Lui che è esperto di gare d’appalto nel settore dei rifiuti si accorge che, forse, qualcosa è passata sopra alle loro teste. Supereco presenta un’offerta per il lotto Nord. Ma allo stesso lotto partecipa anche Ecocar, la società che per anni aveva gestito la raccolta dell’immondizia sotto al Vulcano e che poi era rimasta travolta da uno scandalo di mazzette che aveva fatto vacillare i piani alti del municipio etneo alcuni anni prima.
Dice il camorrista agli investigatori: «Compresi che Ciummo e la Ecocar erano d’accordo tra di loro». Lo desume dal fatto che le percentuali di ribasso erano piuttosto vicine. Consultando gli atti della gara in relazione al lotto Nord si vede che Supereco (alle operazioni di gara partecipa Carlo Ciummo) offre un ribasso del 3,18%; Ecocar il 2,94. Il pentito sostiene anche che le due imprese abbiano partecipato entrambe alla gara per il lotto Sud. Ma di questo non si trovano riscontri: l’unica busta arrivata alla stazione appaltante è quella di Ecocar, che naturalmente si aggiudica il lotto da partecipante in solitaria. A queste condizioni, commenta il pentito, «l'aggiudicazione avvenne senza che noi ci interessassimo». Tant’è che Ciummo, il padre, non avrebbe voluto pagare la percentuale dovuta alla cosca, «perché era convinto che non avevamo fatto nulla per lui».
Bisognava, dunque, convincere l’imprenditore del contrario. E cioè del fatto che, invece, erano stati i Casalesi a sbrogliare la faccenda. Si organizza, dunque, un appuntamento: tra Ciummo e Giuseppe Castiglione, avvenuto a Catania nel 2021. Era necessario «far credere (all’imprenditore, ndr) che l'aggiudicazione era avvenuta grazie ai buoni uffici corruttivi di Castiglione». Una riunione convincente se è vero che da quel momento in poi ogni mese nelle casse di Romano e Ferraro, e quindi degli esponenti della criminalità organizzata, avevano cominciato ad arrivare i diecimila euro pattuiti. Castiglione, in cambio, avrebbe ottenuto alcune assunzioni nella ditta Dussmann, che si occupa di pulizie, o nella stessa Supereco. I nomi citati sono cinque. In base a quanto verificato dal quotidiano La Sicilia, due di questi si ritrovano nell’elenco dei lavoratori assunti da Supereco per l’appalto catanese. Gli investigatori catanesi fotografano gli incontri, che finiscono in annotazioni di servizio. Scrivono i pm napoletani: i Ciummo avevano contatti diretti con Castiglione «e, dunque, non avevano certo bisogno di ricorrere agli intermediari per operare delle dazioni corruttive».
«Estraneo alla vicenda»
«Giuseppe Castiglione ribadisce la propria totale estraneità alla vicenda», così l’avvocato Salvo Pace, difensore del deputato replica a quanto emerge dall’inchiesta. «Castiglione non si è mai interessato dell’appalto né, del resto, il suo ruolo, all’epoca dei fatti, di presidente del consiglio comunale di Catania, gli consentiva di intervenire in alcun modo nella procedura. Castiglione ha incontrato in una occasione l’imprenditore Ciummo; non ricorda presentatogli da chi. L’imprenditore non gli fece nessuna richiesta particolare di interessamento, né il Castiglione promise allo stesso alcunché, né chiese, nell’occasione, di avere riservati posti di lavoro. Men che meno egli ebbe pressioni o comunque venne indotto ad interessarsi dell’appalto in questione da esponenti del clan “Santapaola”».