Omicidio di "pasta rattata": 4 condanne nel clan Santangelo di Adrano
La sentenza ieri del gup di Catania.
Sono passati 17 anni dall’omicidio di Alfio Neri, detto “pasta rattata”, avvenuto ad Adrano. Era ferragosto del 2008. I killer lo hanno crivellato in via Cattaneo mentre era in sella allo scooter. Non ha avuto scampo. Un delitto rimasto senza colpevoli per troppo tempo. Ieri è arrivata la sentenza della gup Simona Ragazzi nei confronti di Antonino Bulla, Salvatore Crimi, Alessio Samperi e Gianni Santangelo. I 4 sono stati condannati a 30 anni di reclusione: la scelta del rito alternativo ha inciso sul calcolo della pena.
Gli investigatori del Commissariato di Adrano e della squadra mobile avevano capito immediatamente quale era il contesto in cui era maturato l’omicidio. Ma la svolta è arrivata con le dichiarazioni di Vincenzo Rosano, uomo di peso della famiglia Santangelo-Pipituni di Adrano. Una collaborazione dirompente visto il peso specifico del padrino di Cosa Nostra. Due anni fa sono state emesse anche le misure cautelari nei confronti degli imputati. Ma uno dei nomi dei sicari era già saltato fuori pochi giorni dopo il delitto. «Uno degli autori dell’omicidio di Alfio Neri è Alessio Samperi del clan Santangelo».
Il 23 agosto 2008 una donna ha chiamato il 112 pronunciando queste parole. Le dichiarazioni di Rosano sono state incrociate con quelle dei figli Francesco e Valerio, anche loro pentiti, e di Giovanni La Rosa. Alfio Neri sarebbe stato ucciso per essere un amico fraterno di Francesco Coco, all’epoca braccio operativo del clan Scalisi. I Santangelo volevano prendersi il potere ad Adrano. E gestire le estorsioni del mercato ortofrutticolo.
Rosano senior ha raccontato che quel giorno ha mandato al mare il figlio Francesco, per evitare che fosse coinvolto nell’agguato. Neri sarebbe stata una vittima secondaria, visto che Coco non usciva di casa. «Si decise di porre in essere la vendetta nei confronti di “pasta rattata”», hanno spiegato i pentiti. Valerio Rosano però ha aggiunto che Neri avrebbe fatto un errore imperdonabile. «Venne ucciso perché era stato visto più volte nella zona dei Santangelo e si pensava che spiasse le mosse dei componenti del clan». Un movente però mai provato veramente.
I difensori, gli avvocati Maria Lucia D’Anna, Valeria Rizzo e Pietro Scarvaglieri, valuteranno il ricorso dopo aver letto le motivazioni che arriveranno fra 90 giorni.