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Dietro le sbarre, oltre la divisa: la realtà di una poliziotta dentro il carcere

Il racconto di Simona Verborosso comandante del reparto di polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Piazza Lanza di Catania

Laura Distefano

13 Settembre 2025, 16:42

lanza

La vita (lavorativa) dentro il carcere cambia. È inutile girarci intorno. Simona Verborosso è la comandante del reparto di polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Piazza Lanza di Catania: la prima donna in questo ruolo nel carcere al centro della città. «Una volta ho letto un articolo che cercava di descrivere la professione del poliziotto penitenziario e li definiva detenuti per lavoro. Non è proprio così, per noi che la viviamo - chiarisce la comandante - la percezione è molto diversa. Il carcere è un luogo di lavoro come qualsiasi altro. Perché alla fine ti abitui a certi rumori, odori e situazioni. E quindi, secondo me, un poliziotto penitenziario non si sente detenuto per niente».

Dall'Agenzia delle Entrate al carcere

La premessa fa capire la caparbietà di Simona. Ma anche la grande abnegazione per una professione che ha imparato ad amare sul campo. Prima Simona lavorava all’agenzia delle entrate: nel 2006 ha provato il concorso e lo ha superato. Ha dovuto aspettare 4 anni per cominciare il corso a Roma. Nel 2010 ha fatto la scelta definitiva: «Devo dire che la passione in questo lavoro mi è cominciata proprio quando ho varcato le soglie del penitenziario». La freccia è stata scoccata. E ha colpito il cuore di una studiosa di Giurisprudenza. Quella laurea è diventata risorsa, terreno fertile, materia da impastare e far lievitare. «È un lavoro dove da un lato utilizzi le conoscenze giuridiche, dall’altra c’è una parte organizzativa. Un comandante ha una duplice veste. Lavora su due binari: la gestione della popolazione detenuta e la gestione del personale di polizia penitenziaria. Sono due rette parallele - dice Verborosso - che non si confondono mai e non si uniscono. Hanno dinamiche completamente diverse».

Verborosso, però, sottolinea che il mondo della polizia penitenziaria è solo un anello della rete. «Non si può lavorare all’interno di un carcere a compartimenti stagni», spiega. A cui si devono aggiungere educatori, mediatori culturali, psicologi, medici. «La squadra è la vera forza di un comandante. Da soli dentro il carcere non si va da nessuna parte. Lavorare in gruppo e soprattutto con uniformità di azione», confessa Simona.

Simona Verborosso

Il racconto dei detenuti

E poi ci sono i detenuti. Ognuno con un vissuto, un bagaglio, una sensibilità. «Dentro il carcere non entra il reato, entra la persona», afferma Verborosso. Sicuramente «il nodo della pericolosità sociale che ha un omicida rispetto a un ladro di galline è un dato che teniamo in considerazione ma è marginale - spiega la comandante - perché il nostro compito, oltre che gestirli dal punto di vista della sicurezza e della custodia, è la rieducazione della pena, come stabilisce l'articolo 27 della Costituzione». «Non è facile, però devi tentare di trovare un modo per rieducarli. Trovare le leve giuste per condurlo sulla retta via. Non sempre riusciamo a farlo, ma la nostra mission è continuare a provarci». Un pizzico di amarezza si sente in gola quando un detenuto che ha terminato di espiare la pena torna in istituto. Però fa parte dei rischi di questo lavoro così delicato. «Un po’ ti fai la corazza», chiarisce.

Il reparto femminile

Simona lavora in una casa circondariale dove c’è anche un reparto femminile. «Le donne sono il 4% della popolazione detenuta italiana. Io in questo momento ho una cinquantina di donne e quattrocento uomini. La donna è più difficile da gestire dal punto di vista emotivo: perché quando una donna entra in carcere ha come unico pensiero la famiglia, in particolare le mamme».

Gli ostacoli

Nella gestione ci sono molti ostacoli. Il sovraffollamento è solo uno. Ed è «una costante». «Ci sono tanti problemi all'interno degli istituti penitenziari - spiega la comandante Verborosso - ad esempio siamo pieni di detenuti psichiatrici, c'è un problema di tossicodipendenza incredibile. Il poliziotto penitenziario è un poliziotto, non è un operatore sanitario. Non è la stessa cosa interloquire con una persona che comprende quello che stai dicendo rispetto a un’altra persona che ovviamente non comprende, o perché ha patologie psichiatriche o perché ha una dipendenza. Qui il nostro mestiere diventa complicato», commenta Simona.

Il traffico illegale

Molti detenuti portano gli affari illeciti all’interno delle mura del carcere. Traffico di telefonini e, anche, introduzione di sostanze stupefacenti. «Sono fenomeni che combattiamo quotidianamente. E che sono diffusi a livello nazionale. L’istituto, essendo al centro della città con i palazzi così attaccati, risente ancora di più di questo problema. Ma l’attività di contrasto è molto incisiva». Infatti, qualche giorno fa, ci sono stati arresti e sequestri.

Il dramma dei suicidi

Nelle difficoltà ci sono anche le tragedie da affrontare. Il suicidio di un detenuto è la ferita più dolorosa. «Il suicidio di un detenuto è un lutto per l'organizzazione. Io ne ho vissuti tre nella mia esperienza, lei non può immaginare il silenzio che cala sull'istituto, mi vengono i brividi», racconta. L’ultimo episodio la comandante lo ha vissuto da pochissimo tempo. Non sempre ci sono i campanelli d’allarme. E questo rende tutto ancora più atroce. Più complesso da superare ed elaborare.
La comandante Verborosso è convinta che «qualsiasi figura istituzionale (come il garante dei detenuti) sia una risorsa per far funzionare il sistema». Ma, comunque, vuole ricordare che «ci sono già posizioni previste dall’ordinamento: come il magistrato di sorveglianza. Senza dimenticare gli avvocati che ogni giorno entrano in istituto: sono il primo baluardo di garanzia. Il carcere deve essere una casa di vetro, non c’è nulla da nascondere».

In divisa h24

La divisa da poliziotta penitenziaria Simona Verborosso la indossa h24. Prova a non portare il carico a casa, ma i nervi tesi possono capitare. I due figli, Gabriele e Federica (di 13 e 10 anni), in alcune occasioni hanno emozionato la mamma per la loro comprensione. E maturità. La famiglia è un patrimonio inestimabile. Simona ne ha due: una a casa e una a Piazza Lanza.