Lettera pastorale, monsignor Renna: «Un sacrilegio indossare l’abito agatino se si è affiliati alla mafia»
Nel IX centenario della traslazione delle reliquie di sant’Agata, l'arcivescovo di Catania invita a vivere seguendo le orme della martire, piena di fede e coraggiosa
Luigi Renna non ama i giri di parole. La fede non può scendere a compromessi. E la religione non può essere strumento in mano a chi avvelena la società. Le feste religiose sono patrimonio del popolo, delle città, dei territori. Ma con dei limiti invalicabili: non c’è spazio per le ombre, le nubi, i sospetti. Soprattutto non c’è spazio per la mafia, in nessuna forma e declinazione. La linea di demarcazione deve essere netta. Le celebrazioni religiose invece possono essere finestra per la rinascita, la conversione, la proclamazione del bene.
La lettera
L’arcivescovo di Catania venerdì prossimo, al santuario di Mompileri sull’Etna, presenterà la lettera pastorale nel IX centenario della traslazione delle reliquie di sant’Agata. Renna invita a vivere seguendo le orme della martire, piena di fede e coraggiosa. Inoltre l’arcivescovo sollecita a prendere sul serio “l’emergenza educativa” che coinvolge Catania.
Renna, nella lettera pastorale, spiega e anticipa i passi del cammino già intrapreso nella diocesi sulla devozione a sant’Agata. Una devozione «sempre più espressione di fede». Nel testo di Renna ci sono riferimenti espliciti, culturali e teologici, dei simboli che accompagnano la festa di Agata (dal sacco bianco indossato dai devoti alle candelore che illuminano i giri del fercolo). L’arcivescovo fornisce la strada per vivere quei simboli. Quei segni (di fede). Il sacco per Renna deve esprimere l’umiltà del devoto. «Portare il sacco – scrive l’arcivescovo – richiede da tutti un grande senso di responsabilità. Prima di indossarlo dovremmo chiederci a che punto è la nostra vita cristiana, se la nostra testimonianza di fede risplende o è adombrata da qualcosa».
Il sacrilegio
E c’è la stoccata del padre della chiesa di Catania: «Sarebbe un sacrilegio indossare l’abito agatino se si fa uso di stupefacenti, se li si spaccia, se si detengono armi, se si è affiliati a famiglie mafiose» o, ancora, se si vivono situazioni di disordine affettivo o di fedeltà nel matrimonio.
E a chi gestisce le corporazioni delle Candelore fornisce istruzioni precise. Le ferite aperte con il blitz Naumachia, con lo stendardo dedicato al boss, sanguinano ancora. «Come desidererei – scrive monsignor Renna – che non si apponessero più drappi con nomi di persone, che sono quasi motivo di ostentazione di sé: la gratitudine si vive in silenzio».
Le emergenze a Catania
Monsignor Renna è profondamente preoccupato per il futuro delle giovani generazioni. La questione giovanile rappresenta una vera e propria emergenza: «Baby gangs lasciate a se stesse nelle ore serali, ragazzi e ragazze che divengono genitori nella preadolescenza, l’uso di stupefacenti».
L’arcivescovo invita la comunità ecclesiale a mettere al centro la cura delle famiglie, educando «alla corresponsabilità i genitori nella catechesi e nella formazione», e a «seguire le famiglie più fragili con l’impegno per il recupero scolastico». Catania purtroppo vive, in alcune zone, percentuali di dispersione scolastica davvero emergenziali.
Ai catanesi Renna chiede di essere cittadini attivi. Non serve lamentarsi, serve mettere mattoni nuovi. Assieme. Partendo dalla testimonianza di Agata costruire una «città dell’uomo a misura d’uomo». «Oggi c’è bisogno – scrive l’arcivescovo – di tornare ad occuparsi della città politicamente, edificandola, dando il proprio contributo di cittadinanza, uscendo dal clima di lamentela che rinuncia a partecipare e si aspetta tutto dagli altri. Sentiamo l’urgenza – scrive l’arcivescovo – che tutto il territorio, continuamente esposto alla corruzione politica e all’agire malavitoso delle organizzazioni criminali, veda il laicato impegnato in questi ambiti, per rigenerare la politica buona e la democrazia. La nostra santità, soprattutto se siamo fedeli laici – dice ancora monsignor Renna – si gioca nell’aprire gli occhi su queste realtà, e nel saper organizzare la speranza».