Primus 2
La vendetta del boss per il figlio ucciso: "Io devo acchiappare a tutti in un colpo…"
Le intercettazioni del blitz Primus 2 che ha decapitato il clan Scalisi.
Sono 486 le pagine dell'ordinanza a carico di dieci persone emessa dalla gip Simona Ragazzi dopo i fermi eseguiti il 16 settembre. E addirittura cresce a 528 pagine la misura cautelare spiccata ieri dalla giudice nei confronti di altri 14 esponenti del clan Scalisi di Adrano. In totale fanno 24 persone. Ma gli indagati totali sono 41. L'avviso di conclusione indagini è stato già notificato. L'inchiesta Primus 2, illustrata questa mattina in conferenza stampa, ha raso al suolo la famiglia mafiosa di Adrano che porta il vessillo dei Laudani di Catania.
Il reggente e il piano per vendicare il figlio
Pietro Lucifora è l'uomo che avrebbe preso il posto di Alfio Di Primo - più conosciuto come Alfredo - che era stato ai vertici fin al suo arresto avvenuto lo scorso dicembre. Le indagini della squadra mobile di Catania e della polizia investigativa del Commissariato di Adrano hanno permesso di seguire in diretta la pianificazione di più omicidi per vendicare l'uccisione del figlio di Lucifora, Nicolò. Che è avvenuta a Francofonte, nel Siracusano, al culmine di una rissa fra giovanissimi fuori da un locale della movida. Al boss non è bastato l'arresto del responsabile: vuole farsi giustizia da solo. E già da luglio comincia a costruire il piano diabolico con tanto di alibi e un'amante finta. Nelle mani degli investigatori ci sono anche gli screenshot dei messaggi affettuosi predisposti per far sembrare tutto più vero e reale. Coinvolge anche i sui familiari di Chieti (il fratello Mario e lo zio Pietro Schilirò e in modo più marginale la sua convivente e quella dello zio) a cui chiede anche di procurarsi delle divise da carabiniere che sarebbero state usate per l'agguato. Lucifora scambiava messaggi su WhatsApp con il figlio morto. Inoltre il boss degli Scalisi - dopo il rientro dall'Abruzzo per una prima riunione operativa per l'omicidio - discuteva con il fidato Vincenzo Biondi (i due sono stati arrestati assieme nel blitz Illegal Duty nel 2017) del figlio e del dolore per la tragica scomparsa. Lucifora citava l'assassinio del figlio anche nei discorsi mafiosi. Una volta parlando con un imprenditore si presentava come il capo degli Scalisi: "per la famiglia ci sono io "Pietro Diecimila", per la famiglia ci sono io... per quanto riguarda gli Scalisi ci sono io, chiunque deve parlare con me … oggi sono responsabile io della mia famiglia, io sono uscito ora... non ha neanche un anno... mi hanno ammazzato un figlio".
Il progetto della strage
La pianificazione della vendetta era al di fuori delle dinamica mafiose. Ma comunque Lucifora chiariva che il suo ruolo criminale gli dava libertà di movimento: "Forse non lo hai capito… io non lo posso fare qua … ma no che non lo posso fare … perché questa è "la famiglia" … il nostro sangue e non devo dare spiegazioni a nessuno (vendetta per il figlio ucciso, ndr) … mi stai capendo…? perché domani… ah si… se n'è prese due (armi dell'organizzazione mafiosa, ndr)".
Per l'omicidio del figlio, che viveva con la madre a Francofonte, era stato arrestato Francesco Milici. I parenti dell'indagato hanno raccontato agli investigatori siracusani di essere stati più volte minacciati sui social. Il piano è stato così sintetizzato dalla gip Simona Ragazzi: "Pietro Lucifora, unitamente a qualche altro soggetto a lui vicino, al momento non identificato, avrebbe dovuto indossare divise da Carabinieri e procurarsi delle armi probabilmente direttamente a Chieti, per poi da questa località recarsi direttamente a Francofonte con mezzi a quattro ruote (auto o furgone) purché privi di sistema satellitare per far sì che Lucifora e i complici potessero verosimilmente scendere da Chieti in Sicilia, commettere la strage e risalire a Chieti". Il progetto prevedeva che i cellulari fossero lasciati in Abruzzo per cercare di depistare ancor di più eventuali indagini. Il boss condivide con la compagna Soraya Pantò la sua assoluta facilità a sparare al fratello del killer del figlio e anzi di prenderli tutti assieme. Il progetto di una vera e propria strage: "Io devo acchiappare a tutti in un colpo... che io so quello è solo e tutti i venerdì alle sei si va a fare il calcetto fino alle sette e mezza.... ma io un colpo... una motocicletta e bum bum li levo...". Per tutto il mese di luglio e agosto ci sono intercettazioni, messaggi e anche lacrime davanti alla tomba del figlio - seppur da remoto - riferenti al piano di sangue. Che sarebbe dovuto concretizzarsi a fine settembre, ma la polizia sotto il coordinamento del pm Fabio Saponara ha eseguito il decreto di fermo per bloccare il diabolico progetto di sangue.
L'eco dei fatti di Roma
Uno dei dialoghi più inquietanti fra Lucifora e lo zio di Chieti è quello in cui il boss adranita raccontava "che stava guardando un video sul social tik tok che riguardava un padre che aveva ucciso
l’autore dell’omicidio del proprio figlio, riferendosi all’omicidio accaduto in data 8 luglio
2025 a Rocca di Papa, comune dei Castelli Romani in provincia di Roma. Nel corso della conversazione i due interlocutori giustificavano il padre". "Questo ha ammazzato a quello che gli ha ammazzato a suo figlio", diceva Lucifora. "Ha fatto la cosa più giusta", rispondeva la zio. Che orrore. Orrore fortunatamente bloccato.