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Catania, dalla munnizza al mattone e con il pallone costosa passione l’invidiatissima ascesa dei Leonardi…

Di Mario Barresi |

CATANIA –  Dal redditizio business della munnizza all’imposizione, massiccia e silenziosa, come leader del settore ricettivo-alberghiero. Con la passione (costosa) per il pallone. E la cassaforte (ricchissima) del mattone. «Ormai loro sono i padroni di mezza Catania, hanno comprato quasi tutta Aci Trezza e ora si estendono verso la zona jonica», è la mappa, parziale, fornita da un manager immobiliare sotto il Vulcano. «Loro», per intenderci, sono i Leonardi. Proprietari, fra l’altro, dell’albergo di Aci Trezza autorizzato ad aumentare la cubatura con «variante accelerata» al Prg.

Tre generazioni di imprenditori, un gruppo familiare solido e dagli interessi diversificati. Fu il capostipite Giuseppe ad avere la lungimirante idea di aprire la discarica di Grotte San Giorgio, al confine fra Catania e Lentini, oggi il più grande impianto di raccolta in Sicilia. Soprattutto dopo che la Regione ha autorizzato alla Sicula Trasporti dei Leonardi l’aumento per 1,8 milioni di metri cubi, con una superficie ora estesa fino a 140mila ettari. Da qualche giorno, sempre grazie al via libera del dipartimento regionale dei Rifiuti, nell’impianto di Lentini arriva anche una parte di spazzatura dal sito palermitano (chiuso) di Bellolampo: 330 tonnellate al giorno, con il placet al trasferimento di 100mila tonnellate per un anno «in via urgente». Una gallina dalle uova d’oro, ben amministrata dall’erede Giuseppe Leonardi, con un fatturato in crescita esponenziale: dai 75 milioni del 2014 ai circa 90 dell’ultimo bilancio, con la prospettiva – grazie all’ampliamento della discarica – di andare ben oltre i 150 milioni a breve. Ed è tutto cash: se i Comuni ritardano troppo nei pagamenti (tariffa media 100 euro a tonnellata), le porte della discarica, legittimamente, si chiudono. E dunque i ritardi con cui qualsiasi impresa incassa i crediti della Pubblica amministrazione, in questo caso, sono sconosciuti. Un conto in netto attivo, separato da quelli, altrettanto redditizi, delle altre due società del gruppo nel settore ambientale: la Sicula Compost e la Ge.s.a.c. (Gestione servizi ambientali Catania).

Un accumulo di risorse, dagli affari coi rifiuti, che permette una liquidità notevole e la possibilità di investimenti importanti. Soprattutto in beni immobili, con la Leocam Società Immobiliare Srl. Ultimo fatturato di 4.317.877 euro al 31 dicembre 2018 (nel 2014 era di 185.697 euro), capitale sociale di mezzo milione, l’azienda è suddivisa al 50% fra Antonino Leonardi e Carmelina Camerino, che detengono anche la partecipata L. r. Costruzioni, che, fra l’altro, gestisce l’hotel Malavoglia Inn. Ma è la Leocam la vera cassaforte del mattone: secondo le visure catastali, possiede 81 fabbricati a Catania, 22 a Mascalucia, 21 ad Aci Castello, 8 a Sant’Agata li Battiati, 7 a Giardini Naxos, uno sia a Misterbianco sia ad Acicatena. Fra i gioielli di famiglia con vista sui Malavoglia, oltre al Ciclope di Aci Trezza (valore catastale 1,4 milioni; valore di mercato 4,5 milioni secondo il report Cribis D&B), c’è anche il mitico bar Viscuso, gli spazi commerciali dello Sheraton, più una struttura ricettiva in via Livorno (3,6 milioni). Ma è a Catania che si concentrano i maggiori interessi: il complesso alberghiero del Plaza (due unità per oltre un milione di valore di mercato). E decine di immobili, a uso abitativo, commerciale o ricettivo: 20 unità in via Guardia della Carvana, altre in via Caronda, via Ciccaglione, via Ofelia, viale Alcide de Gasperi. Ma il fabbricato più grande è alla zona industriale, in via Cosmo Mollica Alagona: valore di mercato 6,7 milioni, proprietà suddivisa in parti uguali fra Leocam e altre due immobiliari, la Femacar di Belpasso e la Leomar di Catania, socie anche, in parti diverse, anche nella proprietà di altri 35 immobili in via Guardia della Carvana. E se negli altri comuni dell’hinterland etneo i tanti beni sono di valore minimo, a Giardini Naxos si torna nel settore ricettivo: due residence (in via Consolare Valeria e in via Napoli) per un valore Cribis D&B di oltre un milione.

Un’espansione rapida, favorita anche dalla crisi del mercato immobiliare. I Leonardi possono permettersi di fare shopping in contanti, strappando prezzi convenienti. E suscitando tanta invidia, nei salotti degli storici palazzinari della borghesia catanese, che li considera parvenu. Magari malignando sull’ascesa di un gruppo imprenditoriale mai travolto da guai giudiziari. Su di loro, come ha scritto Repubblica, ha indagato la Procura di Palermo per la vicenda delle tangenti alla Regione «non trovando alcun illecito»; il patriarca Giuseppe fu coinvolto in un’inchiesta su una presunta maxi-evasione, con sequestro di beni per 730mila euro, ma il procedimento s’è estinto per morte dell’imputato, classe 1931. Ma i Leonardi – proprietari anche della Sicula Leonzio (il rampollo, Giuseppe, è il «più giovane presidente della serie C»), con voci sulla tentazione di acquisire il Catania Calcio da Nino Pulvirenti – sono sempre rimasti alla giusta distanza da qualsiasi scandalo. Puliti, a dispetto della vischiosità del loro core business. Come si dice, pecunia non olet. Nemmeno se i soldi arrivano dall’immondizia. E finiscono, in gran parte, nel ballo del mattone.

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