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Sostare, ore di lavoro in più “non giustificate”: condannati 4 ex dirigenti

Di Vittorio Romano |

Catania – Con sentenza numero 621/2019 la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana (presidente Guido Carlino, giudice Adriana Parlato e relatore Paolo Gargiulo), ha condannato 4 ex amministratori di Sostare – Giacomo Scarciofalo, Camillo Gianfranco Romano, Salvatore Barbagallo e Giovanni Vinciguerra – al pagamento a favore della stessa società della somma complessiva di 389.888 euro, così suddivisa: 123.221,45 euro a carico di Scarciofalo; 177.777,77 a carico di Romano e 44.444,44 a testa a carico di Barbagallo e Vinciguerra (oltre la rivalutazione monetaria dal 28 luglio 2016 alla data di pubblicazione della sentenza e gli interessi legali).

Il 19 settembre 2012 i sindacati chiedono a Sostare l’aumento delle ore settimanali da 30 a 33 per tutti i dipendenti in regime di part time. Il 7 maggio 2013 il presidente Romano e il direttore Scarciofalo accolgono la richiesta. E, con delibera del 25 giugno seguente, il cda composto da Romano, Barbagallo e Vinciguerra approva collegialmente la decisione già assunta da presidente e direttore, presente il collegio sindacale (Antonio Chisari, Carmela Giuffrida, Gaetana Maria Piazzi). Il presidente e il cda giustificano l’aumento orario con la futura sottoscrizione di un contratto di servizio con il Comune di Catania, che effettivamente viene stipulato ma solo il 31 luglio 2016. Il 21 dicembre 2013 viene nominato il nuovo Consiglio d’amministrazione di Sostare, composto da Gilberto Cannavò, Alfina Maria Giovanna Cantarella e Carmelo Tagliaferro.

Facciamo un salto al 26 giugno 2018, quando con citazione il procuratore regionale della Corte dei Conti chiede la condanna sia dei componenti del primo cda, sia di quelli del secondo, nonché dell’organo di controllo, cioè il collegio sindacale. In pratica chiede la condanna di 10 tra amministratori, componenti del collegio sindacale e direttore di Sostare a pagare la complessiva somma di euro 1.232.214,53 euro e quindi la condanna a pagare euro 123.221,45 ciascuno. Il danno veniva calcolato dal 1° luglio 2013 al 31 luglio 2016 e così motivato dalla Procura del giudice contabile: “un esborso ingiustificato di risorse costituisce danno e tale è l’importo corrisposto ai dipendenti remunerati in violazione dei principi di economicità e sana gestione per una prestazione lavorativa svincolata… da esigenze funzionali… la consapevolezza dell’incremento illecito del monte ore e dei suoi oneri, manifestata all’assemblea del 28.4.14 rende rilevante l’inerzia mantenuta dal cda (secondo cda) che con leggerezza… ne ha mantenuto le conseguenze… prestando acquiescenza all’atto illecito del precedente organo…”.

Oggi la sentenza 621/2019 ha invece assolto Antonio Maria Giuseppe Chisari (difeso dall’avv. Stallone), Carmela Giuffrida e Gaetana Maria Piazzi (difese dall’avv. Marina), Gilberto Cannavò e Alfina Maria Giovanna Cantarella (difesi dall’avv. Salvatore Neri), e Carmelo Tagliaferro (difeso dall’avv. Francesco Caruso. La sentenza motiva l’assoluzione del secondo cda accogliendo l’eccezione sollevata dalla difesa secondo cui i suoi membri non potevano e non dovevano ridurre le ore di lavoro dei dipendenti perché in questo caso avrebbero violato un principio lavoristico elaborato dalla Cassazione, secondo cui “il datore di lavoro non può unilateralmente ridurre l’attività lavorativa, diversamente incorrendo in un inadempimento contrattuale”. In sostanza il danno subito da Sostare per effetto delle maggiori retribuzioni inutilmente corrisposte al personale in part time non era rimediabile unilateralmente ma solo con il consenso dei lavoratori. La sentenza di contro motiva così la condanna del primo cda e dell’ex direttore di Sostare: “Le condotte dei predetti soggetti sono tutte rimproverabili per colpa grave, atteso che gli stessi, ciascuno secondo la propria competenza, hanno agito (almeno) con inescusabile imprudenza, avendo assunto scelte datoriali sostanzialmente azzardate… e, conseguentemente, esposto la Società – facendo assumere un irragionevole rischio di impresa alla finanza pubblica, sulla quale, in definitiva, gravano i maggiori esborsi – alla consapevole prospettiva dell’inutilità di questi ultimi.

Risulta evidente – essendo state acquistate, con il carattere della stabilità, maggiori prestazioni lavorative (con consequenziale stabile aumento del costo del lavoro) a fronte della mera prospettiva, incerta anche sotto il profilo temporale, della necessità delle stesse – che gli agenti si sono rappresentati la significativa possibilità di verificazione dell’evento dannoso (vale a dire la maggiore remunerazione di forza lavoro senza la corrispondente necessità della stessa) e che gli stessi si sono determinati ad agire comunque, anziché attendere l’effettiva stipulazione del nuovo contratto di servizio con il Comune di Catania… ”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA