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Mazzette Anas, un “trojan” nel cellulare che fa tremare il sistema

Di Mario Barresi |

CATANIA – Il 29 agosto scorso, poco dopo mezzogiorno, un trojan introdotto nel cellulare di Riccardo Contino registra una conversazione di quest’ultimo con Giuseppe Panzica. I due dipendenti dell’Anas stanno suddividendo, con algebrica precisione, una mazzetta di 20mila euro. In tre parti. «Dividiamoli e ci togliamo il pensiero. Quanto ha detto che sono?», chiede Contino. E Panzica spacca il capello: «Sei periodico: sei, sei, sei, sei, sei, sei…». Alla fine arrotondano: 6.650, il resto è mancia. Qualche preoccupazione c’è. «Metti il caso – si chiede Contino – che adesso lui si sia messo d’accordo con i carabinieri, ci fa arrestare, entrano i carabinieri e trovano me e te seduti qui e i soldi dentro». Ma, pur avendo più di un sospetto di avere qualcuno (non i miliari dell’Arma, ma in questo caso la finanza) che fiata sul loro collo, i funzionari arrestati ieri mostrano una certa spocchia. «Fino a quando non ti trovano i soldi in tasca o ti trovano i soldi a casa… te la possono sucare». Seguono risate. Di gusto.

Alla fine non è stato proprio così. Eppure l’antropologia criminale non deve ingannare. Non ci troviamo davanti ai «mariuoli» di craxiana memoria. I tre sono stati arrestati adesso perché trovati con le mani nel vasetto di marmellata (anche se il contenitore simbolo dell’inchiesta è una scatola del sale in latta, nascosta in garage), ma sono soltanto una minima parte di un sistema. Che in Anas, al di là della stretta legalitaria annunciata dall’ad Massimo Simonini, non è certo inedito. Dalla Tangentopoli del 1993 (con mazzette persino sui lavori post alluvione in Valtellina), che, oltre ai vertici aziendali e big democristiani, coinvolsero il ministro dei Lavori pubblici, Giovanni Prandini, si arriva quasi ai giorni nostri con lo scandalo della “Dama nera”.

Così fan tutti. O quasi. E, sempre in tema di suggestioni da Mani Pulite, quando il procuratore Carmelo Zuccaro rivela che «ci sono decine di altri indagati», non è difficile immaginare che da domani in poi – Tonino Di Pietro docet – a Piazza Verga potrebbe esserci una processione di pentiti. O di aspiranti tali.

Uno c’è già. Giuseppe Romano, dirigente dell’Anas ora ai domiciliari, già martedì scorso ha avuto un lungo faccia a faccia col pm Fabio Regolo, in cui si autoaccusa. Un paio di giorni dopo, nell’interrogatorio di convalida, Romano spiega il sistema. E fa alcuni nomi. Molti gli omissis nelle 43 pagine del gip Giancarlo Cascino. Ed è giusto così, perché non vanno scoperte le carte di un’indagine che si annuncia delicatissima. Eppure qualcosa, nero su bianco, c’è. Lo stesso Romano, nell’udienza di convalida, precisa di «essere ben a conoscenza dell’esistenza dei patti corruttivi tra i direttori dei lavori e le imprese». Fa alcuni nomi di colleghi: i “cattivi” (Contino, più due non arrestati) e i “buoni” (altri due pari grado che «erano soliti comportarsi in maniera onesta»). Il sistema è consolidato: 1/3 della somma risparmiata dall’imprenditore va alla direzione lavori e «le imprese aggiudicatarie erano consapevoli, già in fase di aggiudicazione, di poter raggiungere simili accordi nell’esecuzione dei lavori». Ma Romano vuota il sacco. Fa «i nomi dei direttori dei lavori e relativi collaudatori, nonché degli imprenditori e affidatari di lavori pubblici Anas, per le cui procedure aveva indebitamente percepito somme». Sostiene di «non conoscere i nomi dei geometri coinvolti nei patti corruttivi», ma ritiene «difficile garantire siffatti accordi senza la compiacenza di tali soggetti». E addita i «potenzialmente inclini».

Anche Panzica, pur meno “espansivo”, riferisce che «anche con altri imprenditori si erano verificate circostanze analoghe» e che, si legge nell’ordinanza, «tendenzialmente, gran parte degli imprenditori si rivolgevano a loro per chiedere dei favori, dal momento che le gare si svolgono tutte al ribasso, ma non tutti decidevano di pagare».

 

Il quadro è chiaro. Chiarissimo. Quello che per il gip è un «sistematico contesto di mercimonio delle funzioni ricoperte» dai dipendenti Anas è molto più esteso. Ed è colluso con decine di imprenditori. Dalle carte emergono un paio di aziende etnee, una nissena e una calabrese. Ma è soltanto all’inizio. Fra corrotti e corruttori, si rischia un traffico da bollino rosso. Come in tangenziale all’ora di punta.

Twitter: @MarioBarresi

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