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Silvia e la conversione all’Islam. L’Imam di Catania: «Basta fango»

Di Redazione |

CATANIA – Stop a «voci estremiste che non portano a nulla». Eventuali scelte di Silvia Romano di convertirsi all’Islam «appartengono ad una sfera privata, non tocca a noi giudicare». L’Imam di Catania Abdelhafid Kheit, interpellato a proposito della presunta conversione alla religione islamica della giovane cooperante liberata dopo un anno e mezzo di prigionia e degli insulti contro di lei con invettive di ogni genere, esprime “soddisfazione” per la liberazione della volontaria milanese ma invita a sospendere il giudizio.

«Le voci estremiste – riflette – non portano mai a nulla. La conversione rientra in una sfera privata, non si è nemmeno sicuri della circostanza». Da qui il suo appello a «non buttare fango su questa persona che ha vissuto sulla sua pelle 18 lunghi mesi di prigionia di cui nessuno di noi sa. E se un domani dicesse di averlo detto perché era stata costretta?».

L’Imam di Catania osserva: «Nessuno ha il diritto di commentare situazioni private. Qualunque sia, è una scelta che non tocca a noi giudicare. Stiamo parlando di libertà religiosa».

Silvia ieri ha detto ha di aver abbracciato la nuova fede spontaneamente: «E’ successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata». Ed ha anche smentito la notizia emersa nei mesi scorsi secondo cui sarebbe stata costretta a sposare uno dei carcerieri: «Non c’è stato alcun matrimonio né relazione, solo rispetto». Sui social non è sfuggito che a Ciampino Silvia indossasse una veste molto abbandonante: circostanza che in molti hanno interpretato come la possibilità che possa essere incinta. Ma questa ipotesi al momento non trova alcun riscontro.

Il nome «Aisha», adottato da Silvia Romano dopo la conversione all’islam che lei stessa avrebbe ammesso, riprende un vocabolo arabo che vuol dire «viva», «vivente», «prospera». Aisha fu la figlia di Abu Bakr che divenne la terza moglie di Maometto, e che dopo la sua morte andò in guerra contro il califfo Ali, venendo sconfitta. Il nome è stato sempre molto diffuso nella cultura islamica anche se il suo uso è cresciuto soprattutto dagli anni Settanta.

Aisha bint Abi Bakr, detta «Madre dei credenti» (La Mecca, 613 o 614 circa – Medina, 13 luglio 678 o 679), è stata la figlia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, e, in seguito, la più importante sposa del profeta Maometto. Si dice che a insistere per il matrimonio era stata Khawla bt.akim, moglie di Uthman b. Mazun, che desiderava far superare al profeta lo stato di profonda prostrazione psicologica causatogli dalla morte dell’amata moglie Khadija nel 619. La donna sollecitò quindi il matrimonio di Maometto con la ventisettenne Sawda bt. Zama; per motivi inizialmente politici organizzò anche il matrimonio del profeta con la piccola Aisha, figlia di sei anni del migliore amico di Maometto. In ambito islamico si aggiunge che a determinare definitivamente il matrimonio con Muhammad fu una visione del Profeta dell’arcangelo Gabriele che gli comandava di sposarla (anche se non ne avesse avuto alcun desiderio). Poiché Aisha era ancora troppo giovane quando il contratto matrimoniale era stato perfezionato, il matrimonio fu consumato alcuni anni dopo. Nell’attesa, Maometto l’avrebbe fatta giocare con le bambole che la bimba aveva portato con sé. Questo matrimonio del profeta non portò figli.

Dotata di carattere impulsivo, che non temeva neppure il confronto con Maometto, quando questi si mostrava nella sua semplice veste di marito, Aisha aveva un pessimo rapporto con Ali ibn Abi alib, cugino di Maometto e quarto califfo. Ali, sospettato da alcuni di essere il mandante dell’uccisione di Uthman, il terzo califfo, si scontrò nel 656 con Aisha e sconfisse il movimento di opposizione da lei organizzato nella battaglia del Cammello (da notare che i musulmani della fazione di Aisha non avevano alcun problema ad avere un capo donna).

Maometto morì a 62 anni, quando Aisha avrebbe avuto, secondo la tradizione prevalente, 18 anni. Fu sepolto nella camera di Aisha, all’interno della sua stanza, su cui fu eretta presto la Moschea del Profeta. Al momento della morte di Aisha (che avrebbe avuto la medesima età del marito al momento della morte), un sacello fu posto accanto a quello del marito. Esso è però vuoto, essendo stato il corpo della moglie inumato nel cimitero medinese di al-Baqi al-Gharqad. Poiché Aisha visse a lungo dopo il decesso di Maometto, ella divenne una figura di enorme rilievo per quanto riguarda la tradizione orale relativa alla vita privata del Profeta. Per la sua conoscenza, derivatale dalla frequentazione assidua del marito dal 622 in poi, Aisha fu considerata un fondamentale punto di riferimento per le successive generazioni di musulmani. Suo tramite privilegiato fu il nipote Urwa ibn al-Zubayr, che ascoltò dalla viva voce della zia quanto ella aveva memorizzato dei detti del marito. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA