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«Forma, spreme e caccia: così Poste Italiane come una vera fabbrica del precariato»

Di Carmelo Di Mauro |

Catania – «Da tempo assistiamo a dibattiti nei quali buona parte delle regioni del Sud Italia vengono messe alla berlina – giustamente – per avere creato negli ultimi 40 anni assistenzialismo con la precarizzazione del lavoro, ma oggi nel nostro Paese opera un’azienda, nel cui capitale si registra una consistente partecipazione pubblica, che si è rivelata una vera e propria “fabbrica” di precariato, purtroppo. Mi riferisco a Poste Italiane – che ha chiuso il 2019 con oltre un miliardo di utili – che fa un ricorso spropositato ai contratti a tempo determinato, con la durata massima di un anno. Questa situazione, che ho potuto constatare lavorando per 12 mesi in un centro di meccanizzazione del Veneto, sta avendo come unico effetto quello di creare un bacino di migliaia e migliaia di precari». È questa l’amara considerazione di un giovane di 34 anni di un paese del Catanese che, chiusa la parentesi Poste, è dovuto rientrare a casa senza lavoro.

«Per me, come per tanti altri colleghi del Sud costretti a lavorare al Nord, non è stata una passeggiata: ci siamo spesso sentiti frustrati. Non solo vivi lontano dagli affetti, ma anche se sei laureato, con un ricco carnet di master, non vieni preso neanche in considerazione. Ti piazzano subito nei centri di meccanizzazione con lavori pesantissimi. Ho visto ragazze e ragazzi che si occupavano di carico e scarico merci o per sette ore di fila dietro una macchina infernale che sputava 10 lettere al secondo da ben 14 uscite. Quante lettere avrebbero dovuto raccogliere in un minuto? Tutto a discapito della dignità e della salute». Il 24enne siciliano racconta di un’esperienza allucinante vissuta in questi mesi di lavoro: «Non c’è rispetto nei confronti di chi è acculturato, anzi fanno il possibile per mortificarti, soprattutto i capisquadra del Nord, a volte con battute… razziste!».

Ma torniamo alla questione dei contratti in scadenza. «Durante il Covid – evidenzia il lavoratore – per tutti i contratti in scadenza a marzo non è stata applicata la legge che prevedeva la loro prosecuzione fino ad agosto: sono stati invece tagliati i rapporti a 12 mesi, perché Poste fa forza sul decreto dignità che prevede un anno più uno di straordinario perché i contratti a tempo determinato possano essere trasformati a tempo indeterminato». E punta il dito sul fatto che l’azienda ha preferito assumere altri 4mila precari in tutta Italia, anziché pensare alla stabilizzazione di quanti già stavano lavorando. «Poste è un bacino interminabile di precariato. Ha proceduto alla stabilizzazione di coloro che hanno lavorato dal 2015 al 2019, prima dell’entrata in vigore del decreto dignità. Adesso invece forma, spreme e caccia. È arrivato il momento di mettere una volta per tutte un freno a questa politica scellerata attuata dall’azienda e ritornare con ferma decisione a rendere possibile, così com’è già stato fatto nel 2019, l’assunzione a tempo indeterminato con nuove graduatorie. Purtroppo tutto – accusa il giovane catanese – si consuma davanti all’indifferenza dei sindacati e della classe politica, ai quali si chiede, invece, un colpo di remi per arginare in via definitiva questo ricorso al tempo determinato».

«Perdere il lavoro in tempo di coronavirus equivale ad una Caporetto personale, perché bisognerà sperare che l’onda di ritorno del Covid-19 non blocchi di nuovo il sistema produttivo del Paese. Diversamente, non si potrà neppure emigrare dall’Italia». Altra nota dolente riguarda i criteri di selezione: «Non si tiene conto di gente laureata in economia, giurisprudenza o scienze politiche, più idonea a volgere determinate mansioni, e ciò a discapito della qualità del servizio che il lavoratore è chiamato a svolgere… Ormai è l’algoritmo, tipico di Casaleggio & associati, a guidare le selezioni», conclude il 34enne postale che ha preferito non divulgare il proprio nome nel timore di subire ripercussioni in eventuali processi di stabilizzazione.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA