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Mafia, la difesa di Lombardo: «Il pentito Dario Caruana è inattendibile»

Di Redazione |

CATANIA – «Il collaboratore di giustizia Dario Caruana è inattendibile» e le sue dichiarazioni «sono nebulose e generiche» e «prive di riscontri». Inizia con queste parole la nuova udienza dedicata alle arringhe difensive dell’avvocata Maria Licata, nel processo d’appello a carico dell’ex Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio.

La legale, che difende Lombardo insieme con l’avvocato Vincenzo Maiello, parla di un presunto episodio che era stato raccontato dal pentito di mafia Dario Caruana. Secondo il collaboratore, all’inizio del 2003 si sarebbe tenuta in una casa di campagna alle porte di Barrafranca, piccolo centro dell’Ennese, una riunione riservata, in cui sarebbero stati affrontati diversi argomenti da appalti ad affari. L’incontro sarebbe avvenuto alla presenza del vecchio boss Ciccio La Rocca, del capomafia ennese Raffaele Bevilacqua e del colonnello di Cosa nostra catanese, nel frattempo deceduto, Alfio Mirabile.

Caruana avrebbe accompagnato quest’ultimo all’appuntamento, ma sarebbe rimasto fuori “a vigilare” l’ingresso. Ma per l’avvocata Licata quell’incontro di cui parla il pentito “non è mai avvenuto”, un incontro che “non lascia traccia”. Poi ribadisce che le dichiarazioni di Caruana sono “prive di riscontro, intrinseco ed estrinseco”. La difesa evidenzia anche come nei tabulati telefonici del cellulare in quel periodo usato dall’imputato non ci sia alcuna cella d’aggancio con quella zona. Ad accusare Lombardo sono diversi collaboratori, oltre a Caruana, a partire dai fratelli Paolo Mirabile e Giuseppe Mirabile, ai nuovi pentiti Francesco Squillaci e Alfredo Palio.

Lombardo ascolta in silenzio le parole della sua legale, Maria Licata. Assente oggi l’altro legale del collegio difensivo, l’avvocato Vincenzo Maiello. La difesa dell’ex Governatore siciliano ribadisce anche oggi che le accuse a carico dell’imputato sarebbero «fumose e astratte». «Non c’è mai stato alcun patto politico-mafioso», ha detto l’avvocata Maria Licata spiegando che «c’è la prova dichiarativa piena di tutti dell’assenza di un patto politico-mafioso». E ha citato Santo La Causa, ex reggente dell’ala militare della famiglia mafiosa dei Santapaola di Catania.

Al termine della requisitoria, la Procura generale di Catania, lo scorso 2 febbraio, aveva chiesto la condanna a sette anni e 4 mesi di carcere per l’ex Governatore. Oggi sono presenti le due rappresentanti dell’accusa, Agata Santonocito e Sabrina Gambino, che da qualche mese è la Procuratrice di Siracusa.

Il nuovo processo di appello scaturisce dalla decisione della Corte della Cassazione di annullare, nel 2018, con rinvio, la sentenza del procedimento di secondo grado, emessa l’anno prima, che era terminata con l’assoluzione di Lombardo dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e la condanna a due anni – pena sospesa – per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza. Una sentenza, quella di secondo grado, che a sua volta aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno all’associazione è applicata al processo di Catania.

Ricordando le parole espresse dalle due rappresentanti dell’accusa durante la requisitoria, che avevano parlato di «tasselli di un mosaico» di accuse, oggi la legale di Lombardo stigmatizza quella frase e spiega: «Il processo non è un mosaico, non è una opera d’arte. La sentenza di un processo deve rassegnare una verità che, volendo usare una metafora, deve essere una fotografia. Ma non una fotografia sfocata, deve essere precisa. Perché una fotografia sfocata non va bene».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA