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Fabiana Raciti: «La violenza oggi mi fa più paura, ma non mi arrendo»

Di Giovanni Tomasello |

Oggi Fabiana è una donna, ha 25 anni, una quasi laurea in giurisprudenza, un fidanzato accanto, oltre a tutto il resto della famiglia che rimanendo unita è sopravvissuta a una tragedia assurda, un omicidio commesso da due ragazzi di cui uno all’epoca dei fatti ancora minorenne. Le circostanze della vita ci hanno avvicinato a Fabiana e al fratello Alessio negli anni subito dopo la tragedia vedendo spesso i loro occhi scolorirsi tutto d’un tratto, i loro sguardi nel vuoto non solo negli anniversari della scomparsa del loro genitore, ma anche nelle feste. Da quella del papà, il 19 marzo, ai loro stessi compleanni, perfino nelle “scampagnate” in quel terreno acquistato con tanti sacrifici e amore dal papà tra Nicolosi e Ragalna, tra quegli alberi dove Fabi e Ale giocavano felici con il loro padre e dove ancora oggi lo “cercano” ogni tanto negli inevitabili momenti di solitudine. Due ragazzi cresciuti bene e che alla violenza hanno risposto con una straordinaria bontà d’animo.

«Da quella tragedia del 2 febbraio – confessa Fabiana – è cambiata la mia concezione della vita e ora comprendo in modo diverso cosa voglia dire la violenza. Il suo significato è ancora più devastante rispetto ad allora. Ecco perché il mio è pure un dolore diverso. Oggi la violenza mi fa più paura di 10 anni fa. Niente e nessuno potrà risanare la mia ferita, ma vado avanti come avrebbe voluto papà. Non mi arrendo. Niente psicologi, in famiglia ci siamo fatti forza da soli».

Ma per te il sacrificio di papà è servito a far cambiare qualcosa?

«Non credo. Lo confermano gli episodi di violenza negli stadi e non solo avvenuti dopo la sua morte. Fra l’altro a provocarli sono spesso ragazzi ancora minorenni. Ricordo le parole di papà che non si dava pace quando ci raccontava che tanti di quei ragazzini senza regole, avevano la mia età».

Cosa si potrebbe fare?

«Occorrono misure rigide e la certezza della pena, ma soprattutto bisogna educare i bambini alla legalità nelle scuole. Mia madre ha girato tanto proprio con quest’obiettivo portando in quasi tutta Italia la propria testimonianza. Bisogna spiegare gli effetti devastanti della violenza».

Papà era un poliziotto di razza. Hai mai pensato di…

C’interrompe Fabiana togliendoci dall’imbarazzo e ci svela pure un episodio significativo: «Se ti dico che da piccola per il Carnevale ad Acireale dove abbiamo sempre abitato, volevo indossare l’abito della poliziotta a cavallo e papà mi guardava felice, la mia voglia d’indossare la divisa mi affascina ancora di più, ma non nascondo che la tragica esperienza vissuta in un certo senso mi frena. Ci rifletterò, pensando a papà e chissà se alla fine non diventerò anche io una poliziotta o forse anche un magistrato, ma non lascerò l’Italia come avevo pensato qualche anno fa. Resto qui a lottare per la giustizia. Come il mio papino».

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