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Il pittore Giovanni Iudice
«L'intellettuale è come un prisma»

Grazia Calanna

04 Ottobre 2019, 19:17

Il pittore Giovanni Iudice«L'intellettuale è come un prisma»

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Ispirati dall’intelletto come dall’inventiva impeccabile e profondamente umana del maestro Giovanni Iudice, gli abbiamo rivolto qualche domanda a partire proprio dal significato che ha avuto ricevere iil premio "Giuseppe Sciuti", nella propria terra.

«È un onore per me oltre che un gradimento dopo una costellata e ostinata carriera sulla pittura. Sopratutto se si pensa che la pittura è vero che ha un ritorno ma c’è molta confusione e ignoranza, seppur si sa è un mestiere difficile e rarefatto, non solo per le questioni morali ma per un’amplificarsi di contaminazioni mediatiche. Gli eterni maestri ci hanno insegnato che questo medio deve servire per essere distillato da mode, tendenze, con l’originalità della non retorica, oggi è il contrario. Non è polemica ma un invito a riflettere sopratutto per le nuove generazioni».

Come definisce l’arte?

«È realismo, ovvero il compito più difficile nella figurazione, non solo perché ci si confronta con i maestri ma perché realismo significa tutto ciò che definiamo sociale, quindi rappresentare la vita senza veli».

Ha scelto o è stato scelto dalla "figurazione"?

«Ho scelto la figurazione dopo essere stato corteggiato e sedotto da essa». -Da ‘dove’ nasce la pittura di Giovanni Iudice? «Da molto lontano, sul far delle cose della tradizione ma anche dall’osservazione della realtà. Essa ha un’autonomia rispetto l’apparente immagine congelata ma è un continuo confronto con il 900, seppur si parli di cinema e fotografia ma pur sempre linguaggio autonomo di realismo e figurazione».

I suoi padri spirituali?

«È molto probabile che la mia visione complessa della realtà sia una compressione di conoscenze filosofiche, letterarie e visive. Amo molto l’idea estetica di Baumgarten e l’esistenzialismo di Sartre, la visione machiavellica di Fellini, all’eretismo di Pasolini. Ma amo Verga e Sciascia nonché Francis Bacon e il mistero Velasquez con visioni luminose di Rembrandt e la coscienza irritata di Goya e Lopez García. Per certi versi il simbolismo di Böcklin e la modernità di Morandi. La sintesi di Cezanne e la fugacità di Cartien Bresson. Amo la poesia e non credo che in un artista vi sia soltanto un espediente bensì una sorta di politeismo dell’essere».

Ci sono "intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito" dentro le sue opere, assodata la libertà del fruitore, quali messaggi vorrebbe fossero colti?

«Nella mia ricerca di artista vorrei che si cogliessero gli elementi immutevoli che sono dentro le emozioni di tutti come la normalità delle cose, la paura e il desiderio».

Qual è il colore che meglio sposa la sua interiorità?

«Il blu turchese perché luminoso e melanconico».

Oggigiorno quali sono funzione dell’arte e responsabilità dell’artista?

«L’arte è sociale, perché è un prodotto dell’uomo. La sua funzione non ha definizioni perché deve essere contemplata nel tempo. Ma la responsabilità di un lavoro come il mio è incentrata nella tensione esistenziale e si pone come una rivoluzione liberale ed emancipata. Non faccio politica, solo per dire che fare l’artista oggi, soccorre il filosofo morale Schiffter quando sostiene che “l’intellettuale è come un prisma, la luce che attraversa la trasparenza dei suoi elementi emana i colori dell’arcobaleno”, non è vedere il “passato” ma porsi minutamente la questione “futuro”».