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Il procuratore di Catanzaro Gratteri: «I “filosofi” romani vadano a casa dei figli delle vittime di Riina»

Di Mario Barresi |

Riina ha diritto a una «morte dignitosa»?

«Io rispetto le considerazioni della Cassazione. Ma perché appena uscito dal carcere non invitarlo a pranzo o a cena facendogli trovare un mazzo di fiori? Disquisire se Riina deve stare o meno in carcere mi irrita, mi viene l’orticaria. No, con tutto il rispetto, mi permetto di dissentire con tutta la mia forza e la mia energia».

Quali sono le argomentazioni del dissenso?

«Subito dopo le stragi si pensò al 41-bis e il principale obiettivo era impedire che i boss non potessero mandare dei messaggi, di morte e non solo, all’esterno».

Ritiene che Riina sia nelle condizioni di mandarli, questi messaggi?

«Premesso che un detenuto al 41-bis non deve fare né il sollevatore di pesi, né pentathlon, i messaggi di morte si mandano anche senza parlare, anche con la gestualità. Pure il fatto che non sia in cella, ma in un ospedale o a casa, è un messaggio che viene dato a tutte le mafie, attenzione. Solo per il fatto che Riina non è diventato collaboratore di giustizia, nel codice mafioso significa che merita “rispetto”. E quindi accontentare un suo desiderata avrebbe un significato».

La “Belva” ha ancora un potere decisionale in Cosa Nostra? Ayala dice che, se fosse così dopo oltre 24 anni di 41-bis, lo Stato avrebbe perso.

«Non voglio polemizzare con Ayala, che nella sua carriera ha fatto molto più di me che sono un piccolo pubblico ministero di campagna, rispetto a chi ha fatto l’antimafia a Palermo. Ma, siccome faccio il magistrato da trent’anni per 18 ore al giorno, posso dire che ci sono delle carenze nella gestione del 41-bis, così come nella gestione delle carceri. Ed è colpa dei governi che si sono succeduti, che non hanno voluto investire sulla giustizia. Mi devono spiegare perché i detenuti del 41-bis sono distribuiti in 12 carceri diverse, perché non apre quello di Cagliari… Sul potere di Riina: non sono un esperto di Cosa Nostra, ma mi limito a ricordare che due boss intercettati, poco tempo fa, dicevano che fin quando lui e Provenzano sono in vita non si può cambiare…».

Dunque deve restare lì dov’è, senza se e senza ma? E i diritti costituzionali?

«Sì, deve restare in carcere. Mi dovete spiegare perché detenuti con una certificazione che attestava la loro morte entro 48 ore sono rimasti in carcere? Io sono semmai molto preoccupato su quello che sarà l’impatto sul tribunale di sorveglianza di Bologna, che, attenzione, non mi convince. E poi a Parma c’è il centro clinico carcerario: tre anni fa Riina ebbe un infarto in carcere e lo salvarono. Se fosse stato latitante, o a casa in attesa di una morte dignitosa, magari oggi sarebbe morto».

Deve morire in carcere, allora.

«La storia è piena di gente che è morta in carcere. E lo dico a questi che filosofeggiano a Roma. E a chi avrebbe titolo a parlare e che invece sta in un silenzio assordante che mi preoccupa. È la stesso che dico a chi invoca la liberalizzazione delle droghe: andate nei centri per tossicodipendenti. Così a questi benpensanti oggi dico: andate a far visita ai figli delle vittime di Riina. I figli del boss, compreso quello che va da Vespa a presentare il libro, ha diritto di vedere suo padre una volta al mese. I figli delle vittime, che magari oggi hanno 30 anni, i loro padri non li ricordano più perché praticamente non li hanno conosciuti. Mi auguro che la stagione delle stragi sia finita davvero. Ma nel caso in cui dovesse succedere qualcosa, chiedo a questi benpensanti di avere il pudore di rimanere a Roma, di non muoversi da casa».

Twitter: @MarioBarresi

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