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L’emergenza Coronavirus in Sicilia e il senso di Nello per la guerra

Di Mario Barresi |

 

Figuccia, chi è costui? Chissà chi se lo ricorda, mentre Musumeci – con piglio marziale, ospite della D’Urso vestita di rosa confetto – tuona: «Siamo in guerra con le fionde».

I siciliani, costretti a stare a casa (ma non a guardare taluni programmi), lo ascoltano incollati alla tv. E lo apprezzano. Più di otto su dieci, secondo un recente sondaggio di Demopolis, sostengono la linea dura del governatore contro gli “untori” tornati dal Nord. I nuovi migranti, per la pancia in subbuglio a causa di continue sbornie di paura del contagio, senza più il bisogno di mostrare finta umanità per non essere tacciati di razzismo. «Devono tornare indietro! Fermi questi barbari subito», lo imploravano nella notte in cui Musumeci denunciò con un post su Facebook – come un Salvini qualunque – l’ultimo sbarco in massa dallo Stretto, per essere poi smentito (nei dati, ma non nei fatti) dal Viminale.

Ma è tutto consentito. «Perché siamo in guerra», va ripetendo in decine di ospitate tv. Un regime bellico non certo voluto dal primo post-missino eletto governatore della Sicilia. Che, comunque, fa di necessità virtù. E, opportunamente rimossa quella collana sul Ventennio dalla libreria di casa a favore di inquadratura Skype, in questo clima dà il meglio di sé, anche grazie alla naturalezza del suo pantheon da fascista perbene, etichetta rinnegata («Non sono fascista, sono perbene») dal diretto interessato.

«Siamo in guerra – ribadisce Musumeci in diretta Fb – ed è brutto fare la guerra senza conoscere il nemico, così come vedere qualche disertore mentre l’esercito marcia, mentre il governo va avanti. Ma lo sappiamo: un esercito in marcia non si ferma a fucilare i disertori… li abbandona per strada». E, più che mai vicino al comandante in capo della Regione, c’è il suo figlio putativo: Ruggero Razza, molto più che un assessore, ormai un vero e proprio ministro della Guerra. Pure lui, per educazione familiare (il padre fu alto ufficiale) e per affinità ideologica, perfettamente a suo agio nel contesto. I bollettini quotidiani, il piano dei “Covid Hospital”, i sopralluoghi nei focolai. Tutto in un flusso istituzionale (e comunicativo) unidirezionale. E incontrastato.

Meno male che ci sono loro? Sì, per chi magari oggi immagina il pantagruelico Crocetta in trincea a contare contagi e ricoveri con le stesse equazioni algebriche con cui dimostrava il numero di mafiosi fatti arrestare.

Ma tant’è. Nei volti dei due siciliani più in vista – il governatore e il suo pupillo nonché spin doctor da tempi non sospetti – traspare un’umanissima paura, oltre al senso di responsabilità, per il destino di un’Isola impreparata, in partenza, ad affrontare la pandemia. Certo, invocare fino alla nausea l’Esercito in strada e additare continuamente i “figlioli prodighi” rientrati dal Nord potrebbe sembrare – sempre in termini di strategia militare – un’arma di distrazione di massa, magari in attesa che l’evocato «piano B» dia alla Sicilia reparti davvero attrezzati in vista del famigerato picco. Eppure ieri Musumeci, intanto superato da “Scateno” De Luca nella trincea pop (olare-ulista) dello Stretto, ha fatto cadere l’ultimo velo: mancano respiratori, tamponi, mascherine. Con onestà intellettuale, al netto della consueta denuncia su «Roma che non ci ascolta».

Un uomo solo al comando. Anzi: due. Desaparecidos (in quarantena mediatica?) tutti gli altri assessori regionali, compresi quelli che dovrebbero cominciare a spiegarci se – ma soprattutto come – la Sicilia sopravviverà al disastro economico del dopoguerra prossimo venturo. Ma, in compenso, l’effetto collaterale della pandemia è che sono scomparse, in autoisolamento obbligatorio, anche tante altre questioni di cui non è detto che si senta la mancanza. E l’imminente rimpasto con l’ingresso della Lega? E il delicato cambio dei dirigenti? E l’improcrastinabile abolizione del voto segreto all’Ars? E il mitologico “collegato”? E, last but not least, Figuccia?

Musumeci, così come Conte a Palazzo Chigi, va avanti a colpi di atti presidenziali. Ordinanze urgenti, necessarie in questi giorni, che lo esentano persino dai (per lui sempre stati inutili, se non fastidiosi) vertici della sua «maggioranza che non è una maggioranza». Li ha usati bene, finora, questi super poteri di ColonNello. L’Ars, tutta, gli ha dato credito. I siciliani sono con lui. Ora, però, niente più fionde. Sì, siamo davvero in guerra: usi il bazooka. E non nel salotto della D’Urso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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