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Coronavirus, il dietro le quinte e quelle vite in pausa

Di Redazione |

Caro pubblico, cortesi spettatori, siamo insieme a voi, in mezzo a voi, con voi. Come tutte le donne e gli uomini, condividiamo lo stato di emergenza, viviamo anche noi il momento doloroso preoccupato affamato, sentiamo le priorità, le paure, abbiamo famiglia anche noi. Il sipario è calato, il biglietto è scaduto, la poltrona di velluto è vuota, il turno pomeridiano è annullato, gli incontri nello spazio indipendente rinviati, la rassegna del cinema in lingua originale è cancellata, l’uscita del film è posticipata, le prove dello spettacolo sono saltate, il set della fiction è chiuso, l’orchestra è muta, i danzatori non volteggiano, i concerti prorogati, i festival eliminati. Le stelle filanti rimangono appese al tetto, i costumi riposti nelle grucce, la cassa degli attrezzi è dietro le quinte, si poggia la polvere sul velatino, sul castello dell’orco, sulla finta porta, sulla scena dipinta, il pianoforte andrà riaccordato, il violino è dentro la custodia, l’amplificatore è off.

Se provi a tendere l’orecchio non lo senti lo scricchiolio del palcoscenico, piuttosto l’elicottero in cielo. L’odore delle tavole di legno e del camerino è rimasto laggiù, intorno si sente l’alcool denaturato e la candeggina.

Tante le cose, troppi pensieri, tante le ansie, troppe le domande, tanti progetti, proposte, impulsi, troppi gli intoppi, tante facce, tanti video, tanti link, tanto streaming. Ne stiamo parlando, noi, quelli che il mondo chiama artisti, i lavoratori dell’arte, ci lanciamo aerei di carta dai balconi, ci chiamiamo col telefono di linea, scriviamo sull’agenda vuota, proviamo a trovare senso e diritti, proviamo a fare la spesa e a scrivere poesia, proviamo a montare l’albume e a disegnare un bozzetto, proviamo a riciclare il pane e a impastare parole, proviamo a cucire il bottone, a scrivere all’Inps, a reinghiottire quel testo che avremmo dovuto dire, a smontare quel corpo a cui avremmo dato forma, a sfoltire i capelli di quel personaggio che non c’è più, a tagliare i baffi dell’avvocato della quinta puntata. Leggiamo il copione a metà, lasciamo aperto il file, siamo pieni di petizioni da firmare, di moduli da visionare. Stiamo pensando “cosa, di altro, posso fare?”.

Ascoltiamo il mondo, come sempre, cerchiamo l’umano, i dubbi, le speranze, la trasformazione, guardiamo gli altri, le persone, non solo quelli tra noi, ma soprattutto gli altri, che sono comunque tra noi, perché sono il pubblico. E noi con voi, cortese pubblico, condividiamo domande e timori.

Avete ricevuto messaggi di dispiacere da parte di enti e teatri che vi invitano a continuare a seguire le proposte, a fare richiesta di rimborso o, meglio sarebbe, a fare i biglietti sospesi. Bene. Dietro tutto questo ci siamo anche noi, attrici, scenografe, sarte, musiciste, danzatrici, cantanti, macchiniste, registe, drammaturghe, artiste (volgete pure al maschile tutti i sostantivi, è la stessa cosa). Ma sappiamo aspettare, le pause sono nelle nostre dinamiche e, soprattutto, avvertiamo che la nostra voce fa fatica al momento a farsi sentire. Ma noi come voi siamo fermi, siamo annullati, siamo disoccupati, siamo chiusi il nostro hastag non è #nonsiferma, è invece #tuttofermo, siate gentili dunque, abbiate premura anche di noi siate gentili, non possiamo riempire il piattino delle monetine o tirare fuori il coniglio dal cilindro, sempre. Ci teniamo a ribadirlo, siamo persone che studiano, ricercano, si preparano, scrivono, imparano, si esercitano, lavorano, campano di questo. Il barattolo o il cappello da girare nelle piazze per adesso è vuoto e bucato sarà per tempi lunghi. Non ci siamo mai tirati indietro per le cause sentite, profonde, umane, non ci siamo mai risparmiati, non ci siamo mai sottratti al momento del sacrificio, ma non siamo saltimbanchi dell’impellenza, saltiamo e cantiamo perché c’è un senso comune intorno, ridiamo e piangiamo perché il vento, i suoni, i polmoni, la lingua, i passi sulla strada, gli occhi ciechi, le mani dischiuse, le braccia tese, le gocce di pioggia, la vecchiezza, il vagito di un infante, il bacio profondo, il corpo nudo, la sabbia che scorre tra le dita, il mare infranto, le nuvole vaganti, la luna nascosta, l’eco, il vuoto, il mal di pancia, il ginocchio rotto, il sangue, lo sparo, il suono di campane, scappare, inciampare, morire, nascere, urlare, tacere il terremoto, la carestia, lo sposalizio, la fede la fiducia, l’aiuto, il disprezzo, il furto, l’animale, la foglia, l’ala spezzata, la piuma che vola il cotone morbido, la plastica bruciata, il legno, la resina, l’alveare, il petalo, la faccia, il petto che respira, la lacrima che sgorga sono dentro l’anima di tutti noi, con voi insieme, e noi proviamo a raccontarle e nutriamo una certa responsabilità dunque, siate gentili quando pensate a noi, come lo fate con tutti gli altri, siamo in mezzo a voi, anche se al momento vi sembra di non vederci, ma siamo donne e uomini come voi siamo a casa anche noi, nel rispetto di tutti nella fossa del leone col domatore di turno nel carosello del secondo giro nello zucchero filato del vicolo nel palloncino di Goldrake nelle bolle di sapone oggi, in molti, non ci sentiamo di giocare non stiamo con le mani in mano, siamo sui nostri coturni, nei promontori lontani, a far riecheggiare i venti e l’umano e siamo al contempo nelle dimore, con le abitudini e le faccende di tutte le case. Siate gentili, non chiedeteci la luna, stiamo provando a immaginare un nuovo razzo, siate gentili non chiedeteci un nuovo giro gratis sulla giostra, c’è bisogno anche per noi di ricaricare i sogni.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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