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Le zone (quasi) rosse di un Paese malato grave

Di Redazione |

La penna di Francesco Merlo – alla quale siamo tutti devoti tutti – ha coniato un neologismo che fotografa l’Italia meglio di uno sciame di parole, di nessuno scienziato della comunicazione e di centomila cabine di regie: “quasità”. Siamo un Paese con un governo in quasi crisi, in cerca di una quasi maggioranza o di un quasi progetto. Abbiamo scritto, rivisto, corretto, emendato e insomma pasticciato il Recovery Plan ora quasi definito ma ancora da discutere con le parti sociali per arrivare a una quasi condivisione. In questo piano abbiamo la quasi Alta velocità per la Sicilia e il quasi/forse attraversamento stabile dello Stretto (chiamarlo Ponte potrebbe risultare blasfemo).

Ora in Sicilia siamo anche in quasi lockdown, una zona rossa chiesta da Palermo, accordata da Roma e rinforzata ancora da Palermo, per quindici giorni poi si vedrà. Perché si ha la quasi certezza che non sarà risolutiva e c’è la ormai quasi serena convinzione che da Bolzano a Capo Passero si sono inanellati una serie di errori, sottovalutazioni, zig zag normativi, acrobazie dialettiche, comodi capri espiatori (ricordate l’allarme migranti con poche centinaia di disperati chiusi sulle navi quarantena mentre impazzava la movida?). Nei giorni del suo centenario sarebbe da mutuare l’epitaffio che Leonardo Scascia fece scrivere sulla propria tomba: “Ce ne ricorderemo di questi mesi”.

La “quasità fa rima con la fragilità del sistema Italia evidenziata dalla pandemia. Abbiamo finalmente percezione di un sistema sanitario ipertrofico se c’è da assegnare primariati e carente se c’è da trovare posti letto. Abbiamo (ri)scoperto la centralità della scuola senza strutturare però un piano di competenze e risorse che non siano la barzelletta dei banchi a rotelle su cui si dovrebbe fare girare mezzo ministero dell’Istruzione per anni. 

Abbiamo stanziato fondi emergenziali scrivendoli evidentemente non su fogli di carta ma su blocchi di ghiaccio perché a oggi non si è visto un centesimo di quanto previsto, con uno stucchevole rimpallo tra Roma e Palermo. Abbiamo dato fiato all’inarrivabile scuola italiana di azzeccagarbugli tra ricorsi e controricorsi da discutere in Palazzi di Giustizia nei cui corridoi si nascondono insidie da zona ultravioletta altro che rossa.

La “quasità” italiana, ancora, è nella percezione che pezzi di politica hanno dell’Europa e dei fondi che l’Unione ha destinato per fare risollevare i Paesi membri da una crisi devastante come solo quella post-bellica: li vogliamo questi miliardi, ma alambicchiamo sul fatto che in parte sono un prestito (idem sentire, ovviamente, sul Mes) e che quindi si tratta di un debito che contraiamo oggi per poi farlo pagare ai nostri figli e nipoti tra vent’anni e più. Dimenticando, questi “quasisti”, che senza la scossa dei miliardi europei tra vent’anni e più non ci sarebbe null’altro che un deserto produttivo e che l’Italia – e quindi ancora più la Sicilia – sarebbe un’enorme trattoria al servizio di chi nel frattempo si è dato un futuro. Davvero vogliamo accontentarci di essere i pizzaioli (con tutto il rispetto) d’Europa? Bah.

Il miglior effetto di una zona rossa sarebbe quella di farci riflettere, costretti come saremo più o meno a casa, sugli errori da non ripetere, sulle responsabilità da dare agli altri e addossare a se stessi, sui cantieri progettuali da avviare subito, se colpevolmente non lo si è già fatto.

C’è poi un’altra zona rossa, la più pericolosa se confinata nei rivoli dell’attenzione generale: è quella della marginalità sociale, dei quartieri a rischio che in una fase come quella che viviamo possono diventare ancora quella polveriera di cui già trent’anni fa parlava a Catania un magistrato illuminato e libero come Giambattista Scidà nella città dei baby criminali occasionali fattisi mafiosi strutturati. Meritoriamente, un faro è stato acceso appena pochi giorni fa da chi non si fa distrarre dai vocalizzi parlamentari. Perché no, quest’altro virus micidiale non possiamo permettercelo, nuovamente.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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