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Coronavirus in Italia, non c’è inversione di tendenza della curva e preoccupa il Sud

Di Manuela Correra |

ROMA Segnali positivi arrivano anche oggi dall’analisi dell’andamento della curva epidemica dei casi di Covid-19 in Italia, ma ciò conferma la necessità di andare avanti con le rigorose misure di isolamento in atto perchè, affermano gli esperti, non si vede ancora una vera inversione di tendenza. Il tutto con una particolare attenzione per il Sud che, sopratutto in questa fase, può rappresentare un grande rischio e deve essere «sorvegliato speciale». I numeri diffusi dal commissario Angelo Borelli nella conferenza stampa alla Protezione civile evidenziano un calo dei decessi (756 contro gli 889 di ieri) e dei ricoveri in terapia intensiva (50 contro i 124 di sabato), ma un leggero incremento dei contagi (3.815 contro 3.651 di ieri). Il totale dei guariti arriva invece a 13.030 (646 il dato odierno). Segnali positivi, appunto, ma ancora insufficienti per poter pensare che siamo ad una svolta. Tempo e gradualità è ciò che raccomanda, interpretando i dati, il virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università di Milano: «Da quello che emerge, nei limiti della rappresentatività dei dati giornalieri, possiamo parlare di un segnale positivo che, al momento, conferma la necessità di continuare ad insistere con le rigorose misure di isolamento sociale in atto perchè non siamo ancora davanti ad una vera inversione di tendenza». In questo quadro, una particolare attenzione va alle Regioni del Centro-Sud, dove potrebbe verificarsi un aumento dei casi: «Ora la nuova frontiera è proprio il Sud. Per il momento – spiega l’esperto – ci sono focolai più ristretti ma bisogna prepararsi per tempo al peggio ed al rischio di un’ondata. La speranza è di riuscire a migliorare il controllo per impedire che tali focolai possano espandersi ulteriormente». Insomma, «bisogna organizzarsi per tempo per riuscire a gestire, se si dovesse verificare, lo scenario peggiore, ma continuano ad esserci dalle Regioni meridionali segnalazioni della necessità di implementare le dotazioni di dispositivi di protezione individuale spesso insufficienti». Cruciale, secondo Pregliasco, è quindi “attrezzarsi da subito, perchè anche al Nord l’epidemia è partita in modo subdolo e rallentato per poi avere uno sviluppo verticale repentino. Il rischio è che possa succedere anche al Sud». Lo scenario dunque, dal punto di vista epidemiologico, è ancora in piena evoluzione, ma in questo contesto è comunque importante iniziare a pensare anche al ‘dopò. Le attuali misure di rigore ed isolamento «saranno necessarie ancora per settimane, sicuramente fin dopo Pasqua, ma quando si avrà la riapertura del Paese – sostiene Pregliasco – sarebbe opportuno effettuarla gradualmente per quanto riguarda le aziende, sulla base dell’utilità sociale delle produzioni, e sarebbe anche opportuno prevedere una tempistica differenziata per il ritorno alla vita sociale e l’uscita da casa, con le fasce anziane e fragili che andrebbero protette di più». Sarà comunque una “battaglia lunga», ha affermato nella conferenza stampa alla Protezione civile anche lo pneumologo Luca Richeldi del Comitato tecnico scientifico, e «non possiamo abbassare la guardia», ma la diminuzione dei casi gravi «indica che stiamo in qualche modo fermando il propagarsi del virus, sopratutto nella popolazione più vulnerabile». Riferendosi quindi all’alto numeri di contagi tra gli operatori sanitari, Richeldi ha rilevato come i dpi siano fondamentali ma «altrettanto importanti sono i percorsi ad hoc ed i triage differenziati di cui tutti gli ospedali si sono dotati». Secondo alcuni studi, «il virus, sconosciuto, circolava in Italia già dai primi di gennaio e il primo caso si è avuto il 20 febbraio. E’ chiaro – ha concluso – che inizialmente non si poteva essere preparati».

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