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Come funziona il test sierologico approvato in Italia, ma non darà la “patente di immunità”

Di Redazione |

ROMA – È la Abbott Diagnostics, leader mondiale nel campo dei test per le malattie infettive, incluso lo sviluppo del primo test per l’Hiv, ad aggiudicarsi la gara per i test sierologici in Italia che partiranno il prossimo 4 maggio a livello nazionale, su un primo campione di 150mila persone. Le analisi sul sangue serviranno a gestire il post blockdown con l’indagine campione sulla diffusione del coronavirus.

Il nuovo test anticorpale per il Covid-19 di Abbott IgG SARS-CoV-2, riferisce il colosso con sede in Usa, identifica l’anticorpo IgG, una proteina prodotta dall’organismo nelle fasi avanzate dell’infezione e che potrebbe persistere per mesi e forse anni dopo la guarigione. «Il test anticorpale – afferma la società in una nota esplicativa – rappresenta un importante passo avanti per stabilire se una persona è stata precedentemente infettata. Il test consentirà una migliore comprensione sulle dinamiche di questa infezione e in particolare sulla comparsa degli anticorpi e sulla loro persistenza. Queste conoscenze potrebbero contribuire allo sviluppo di terapie e vaccini».

Quel che che è certo è che presto avremo una nuova e più realistica radiografia dell’Italia colpita dal Covid-19. Sarà l’azienda americana Abbott a fornire dall’inizio della ‘fase 2’ i test sierologici per stimare la percentuale di italiani colpiti dal virus, molti dei quali potrebbero – ma non è scientificamente certo – anche aver sviluppato anticorpi. Le analisi sul sangue per definire se una persona è stata contagiata, anche inconsapevolmente partiranno come detto il prossimo 4 maggio a livello nazionale, su un primo campione di 150mila persone.  Governo ed esperti aggiungeranno così un tassello importante nella strategia post-lockdown, che permetterà di capire il livello di diffusione del coronavirus nel Paese e pianificare le tempistiche sul ritorno graduale alle attività.

La sperimentazione partirà nei laboratori delle varie regioni e riguarderà campioni specifici di popolazione in base alle categorie Istat e Inail, tenendo in considerazione profilo lavorativo, genere e sei fasce di età. I primi riscontri si avranno già dalla prima settimana e in quelle successive è prevista una possibile estensione della fornitura di kit, reagenti e consumabili dello stesso tipo, con altri 150mila test per un totale di 300mila.

«Non ne esiste al mondo uno che dà il 100% del responso – ha spiegato il Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri – noi avevamo messo alla base della gara un risultato che fosse pari al 95%, per chi se lo è aggiudicato è superiore al 95% e confidiamo che sia un test assai importante». Percentuali che hanno avuto un ruolo determinante nella scelta dell’azienda selezionata per la sperimentazione, che sulla tipologia di test ha rispettato i criteri richiesti – tutti vicini al 100% – di “specificità”, ovvero idoneità, “sensibilità”, “applicabilità” su larga scala e “rapidità” di risposta.

L’indagine sulla sieroprevalenza in alcuni territori del Nord, a cui sono stati sottoposti per primi diversi lavoratori tra il personale sanitario, era già partita autonomamente qualche giorno fa: in prima fila la Lombardia, che con il governatore Fontana aveva annunciato «una “patente di immunità” per le persone che hanno avuto questa malattia e che hanno un numero sufficiente di anticorpi da garantire la copertura».

A frenare sull’anticipo dei tempi è invece stato il Comitato tecnico-scientifico nazionale per l’emergenza, aspettando che si esaurisse definitivamente la spinta dei nuovi positivi, per capire meglio l’epidemiologia dei pazienti. Una situazione, quest’ultima, che si consoliderà ulteriormente proprio in vista dell’inizio di maggio. E i test su scala nazionale che partiranno tra una decina di giorni – almeno in questa primo step di sperimentazione – non puntano a fornire “patenti di immunità”. Su questo buona parte della comunità scientifica sembra essere d’accordo e in linea con l’Oms, secondo cui «servirà ancora tempo».

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ricordato che non ci sono ancora prove scientifiche che le persone guarite dal Covid-19 abbiano anticorpi che proteggono da una seconda infezione, spiegando in un documento che «a questo punto della pandemia non ci sono abbastanza evidenze sull’efficacia dell’immunità data dagli anticorpi per garantire l’accuratezza di un “passaporto di immunità” o un “certificato di libertà dal rischio”».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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