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Musumeci: «Sicilia e Lombardia a parti invertite? Direbbero che siamo zulù che non si lavano»

Di Mario Barresi |

Catania. «È un vero pastrocchio». Per tutto il giorno tesse la tela contro la “fase 1,5” di Palazzo Chigi. E Nello Musumeci, a un certo punto, pensa anche di andare avanti da solo. Con una lettera in cui avrebbe chiesto «sostanziali modifiche» al decretone sulle riaperture. Ma niente strappi plateali, né fughe in avanti. «Le idee sono tante, quasi quanto le teste dei governatori, ma bisogna arrivare – confessa ai suoi fedelissimi – a una posizione quanto più condivisa possibile, che ci rafforzi tutti». Con la (saggia) consapevolezza che stavolta, andando da solo, rischierebbe di fare la fine di un Cateno De Luca qualunque. «Se il governo nazionale ci contestasse le eventuali ordinanze in difformità al decreto, verrebbe meno il nervo della guerra», dice con una delle sue metafore belliche, riferendosi al fatto che «le forze dell’ordine in Sicilia non potrebbero far rispettare le nostre regole».

Dunque, nella trincea delle Regioni contro il decreto di Giuseppe Conte, Musumeci non fa né l’ariete né il cecchino. Sta un passo indietro, prova a rivestire un ruolo da diplomatico. Con più di un punto di forza: i dati epidemiologici che «rendono la Sicilia una regione sicura», certamente molto più della tutt’ora martoriata Lombardia del collega leghista Attilio Fontana; ma anche la congiuntura politica di avere le mani molto meno legate del dem Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna), che da presidente della Conferenza delle Regioni non può esporsi più di tanto contro il governo giallorosso. Più naturale, oltre che redditizio in prospettiva, l’asse con il veneto Luca Zaia, frontman degli autonomisti delle riaperture, oltre che alternativa sempre meno virtuale in uno scenario post-salviano nel Carroccio.

Musumeci ribadisce le perplessità già espresse sul nostro giornale su misure «o troppo stringenti o contraddittorie», ospite ieri sera di Luca Ciliberti su Telecolor. E conferma che «la delusione lo stato d’animo diffuso fra tutti i colleghi governatori», con cui, «anche se qualcuno minaccia di muoversi in proprio», si sta lavorando a «un documento unitario» per «potere chiedere a Conte di rivedere alcune cose e tentare di salvare il salvabile» in quella che definisce «una cornice nazionale fortemente penalizzante».

Il suo obiettivo, dichiarato questa sera con un comunicato ufficiale è «giungere a una proposta ampia e convergente per invitare il presidente Conte a modificare le preannunciate disposizioni della Fase 2». Per questo domani si è dato appuntamento, in videoconferenza, con i colleghi governatori di centrodestra.

«Le misure annunciate per il 4 maggio – spiega  – lasciano scontenti tutti: settentrionali e meridionali, chi per l’apertura e chi per la chiusura e si muovono poi in evidente contraddizione. In Sicilia non abbiamo grandi fabbriche, ma una diffusa presenza di piccole e medie imprese nel commercio, nel turismo, nell’artigianato e nei servizi. Metterle in condizioni di lavorare, nel rispetto assoluto delle norme di sicurezza, è un dovere del governo nazionale. Se proprio non vuole farlo, autorizzi le Regioni ad adottare le misure che risultino compatibili con la situazione epidemica locale».

Il governatore ricorda i punti di caduta rispetto alle scelte di Conte (mascherine obbligatorie anche all’esterno, libero accesso ai cimiteri, anticipo della riapertura di bar e ristoranti, via libera «almeno ai parrucchieri, se per fare la barba ci sono problemi»), esprimendo preoccupazioni anche per i ritardi nel turismo. «Dico queste cose – rivendica – pur avendo adottato in Sicilia misure severe, che però hanno dato risultati. Occorre riuscire a coniugare la linea della prudenza con quella della ripartenza». Con un invito, impensabile nei giorni della linea dura, a «godersi quest’estate, con le giuste misure ma senza troppe rinunce», anche perché «il virus ritornerà in autunno e sarà ancora più forte».

Musumeci tocca anche il punto debole nella crociata delle Regioni: l’equilibrio geopolitico. Giusi Savarino, deputata regionale di DiventeràBellissima, ieri mattina l’aveva espresso a chiare lettere: «Serpeggia in tanti un dubbio: ma in posizioni invertite, se la Lombardia avesse avuto i dati di contagi, di decessi, di guariti che ha la Sicilia, ci avrebbero aspettato?». Il leader del suo movimento sembra quasi risponderle in tv: «Se fossimo stati a parti invertite, magari qualcuno avrebbe detto che è colpa nostra, che siamo degli zulù, dei terroni che non si lavano…».

Una posizione che appare distante da quella di sabato scorso, quando il governatore, nella solidarietà all’agenzia Italpress additata dalla capogruppo della Lega al consiglio regionale della Toscana, derubricava il tutto a «personale caduta di stile, ben conoscendo l’impegno che da anni la Lega profonde, a partire dal suo leader, a favore del Mezzogiorno». Con una successiva valanga di critiche sui social.

Ce n’è abbastanza per dire che, in queste intense settimane di lotta al Covid, l’anima di Musumeci sia un po’ meno “verde Lega”? «Nella mia anima c’è il tricolore: il verde, il bianco e il rosso», oltre al «giallorosso della Sicilia» (e non del governo attuale), risponde. Rinviando, come tutte le cerimonie ai tempi del coronavirus, anche il matrimonio con Matteo Salvini: «In questo momento il tema non si pone. Il mio movimento resta autonomista, in un progetto federativo con le forze del centrodestra». Eppure, ammonisce parlando del “modello ponte Morandi”, «in Sicilia non accettiamo più che ci siano due Italie e a due velocità diverse». Perché «il diritto al pane dev’essere garantito al Nord quanto al Sud».

Quindi il presunto appiattimento su posizioni iper-salviniane è finito in quarantena? Se non è così, sembra però esserci un altro distanziamento politico. C’è la pandemia. E la “fase 2” da gestire. Ognuno a casa propria. Prima i siciliani. E poi si vedrà.

Twitter: @MarioBarresi

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