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Anche in Sicilia è il giorno della ripartenza: tornano il traffico e il caffè al bar

Di Redazione |

CATANIA – La Sicilia riapre: il giorno della speranza, atteso da imprenditori e lavoratori, è arrivato e il sorriso fa capolino dalle mascherine che dovremo comunque tenerci ben strette a dispetto del caldo. L’ordinanza del presidente della Regione, Nello Musumeci, firmata ieri sera consente la ripresa a «tutte le attività economiche e produttive contemplate dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2020». L’obbligo, per tutti, è quello di adottare le misure di distanziamento e di contenimento del contagio.

Le attività questa mattina possono tornare ad alzare la saracinesca, sfidando l’incertezza e la paura che per due mesi e più hanno messo in ombra ogni idea di futuro. La sfida è duplice: in gioco ci sono salute e prosperità e ai siciliani sono richieste audacia nelle scelte imprenditoriali e responsabilità nei comportamenti. Perché il nemico è all’angolo, ma non ancora sconfitto e un suo colpo di coda potrebbe riportare dietro di mesi le lancette dell’orologio. Le indicazioni che vengono dall’ordinanza sono insieme un atto di fiducia e un ammonimento.

I segni della ripartenza ci sono tutti: anche se le scuole sono chiuse, nelle grandi città siciliane si registra un traffico più intenso stamattina e pure un maggiore afflusso sui mezzi pubblici, sebbene non siano segnalate criticità particolari. Si tornano a vedere anche i fedeli in chiesa, con i preti che da oggi tornano a celebrare e le prime messe del mattino che hanno rivisto la partecipazione dei devoti. 

E dopo oltre due mesi di lockdown, i siciliani riscoprono anche il piacere di un espresso al bar, al banco prima di andare al lavoro o seduti al tavolino con le dovute distanze, le sanificazioni, le mascherine, il gel igienizzante all’ingresso. «Ci si dovrà abituare a queste nuove regole, prima o poi bisognava riaprire non possiamo andare avanti così – ha spiegato il titolare di una bar-. Due mesi di stop sono tanti e i dipendenti aspettano ancora la cassa integrazione. Con il distanziamento dei tavoli abbiamo perso 12 posti dentro e 10 fuori ma andiamo avanti. L’unica cosa che chiediamo sono delle regole chiare».

I clienti al mattino presto sono pochi, ma qualcuno arriva per il primo espresso dopo il lockdown. «È un rito che mancava – ha detto una signora – un altro tassello del ritorno alla normalità che speriamo arrivi totalmente».

«Abbiamo un limite di sette clienti per volta, che sono stati calcolati in base alla superficie – spiega il dipendente di un grosso bar del centro – la gente entra da una parte ed esce dall’altra. Abbiamo un bancone molto largo e il cliente si trova a una distanza di quasi due metri». «Siamo contenti di essere tornati al lavoro – confessa mentre un suo collega annuisce -: oltre all’aspetto economico c’era questa inattività che ti faceva sentire impotente».

Anche in tanti ristoranti ferve il lavoro in vista del primo pranzo dopo oltre due mesi di chiusura. «Siamo pronti per ricominciare. Sono settimane che lavoriamo per arrivare a questo momento. Certo le linee guida sono arrivate a ridosso dell’apertura del ristorante, ma ce la faremo», dice Carmelo Grigliè che gestisce insieme a Giovanni Monforte il ristorante pizzeria Arte e Tradizione alla Kalsa a Palermo. «Abbiamo iniziato il primo maggio con l’asporto. Chi fa ristorazione sa bene che non si riprendono nemmeno le spese. Ma era fondamentale rimettersi in pista. Apparecchieremo all’aperto. I nostri clienti non troveranno tavoli già pronti. Tovaglie monouso, piatti bicchieri e posate verranno sistemate davanti ai clienti. Una volta finita la cena verrà tutto sanificato. I camerieri e i pizzaioli avranno mascherine e guanti. Chiediamo al Comune più suolo pubblico per potere accogliere nel modo migliore i clienti».

Ma se c’è chi ha deciso di aprire nonostante le tante restrizioni c’è chi resta chiuso. Come Gigi Mangia che ha un noto ristorante in centro in via Principe di Belmonte. «Servono degli scudi per garantire ai ristoratori di potere lavorare in serenità. Uno contro le denunce e le richieste di risarcimento da parte dei clienti in caso di infezione. La responsabilità civile e penale non può ricadere sui ristoratori – dice Gigi Mangia – Poi ne serve un altro per evitare i fallimenti. In questa situazione drammatica è facilissimo. Servono garanzie e strumenti che questo non accada. Infine chiediamo al Comune il suolo pubblico. Noi siamo disposti a fare un patto. L’amministrazione ci conceda il suolo pubblico e noi ci impegnano a mantenere il decoro nell’area che ci viene assegnata. In questo modo collaboreremo in modo concreto per rendere Palermo più bella di quanto già non sia». Ma c’è anche chi guarda a questa fase con ottimismo. Dice Filippo Ventimiglia, chef e titolare insieme a Gabriele Amato del ristorante Quattroventi: «Stiamo facendo il punto della situazione ma penso che riapriremo per ridare un servizio anche migliore alla nostra clientela. Definiremo in queste ore gli ultimi dettagli» COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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