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Covid, la Sicilia fra paure e fiducia: ecco i veri numeri

Di Redazione |

CATANIA – Ieri come oggi. La Sicilia affronta la nuova versione autunnale dell’incubo-Covid con dati preoccupanti e proiezioni apocalittiche. Ma anche i numeri vanno interpretati.

Con i 475 nuovi positivi di ieri (venerdì erano 578, ma con circa 2mila tamponi in meno), l’Isola ha 6.281 contagiati; è all’ottavo posto nazionale per attuali casi aperti. Ma se si guarda il tasso di contagio rispetto alla popolazione, la nostra – con lo 0,232% – è la regione meno infettata d’Italia dopo Calabria (0,137%) e Basilicata (0.215%), a distanza siderale dal record della Valle d’Aosta (1,370%), seguita dal’1,230% della Lombardia. La media siciliana è alzata da Enna (0,358%), pari a circa un terzo di Milano.

Ma l’Isola, sempre in cifre assolute, sta peggio nella classifica dei ricoverati con sintomi: con 540 è quarta, dopo Lazio (1.043), Lombardia (943), Campania (817) e Piemonte (701). Analogo quadro e sui pazienti in terapia intensiva: con i tre di ieri, nell’Isola, si arriva a a 61. Ad appena 33 dal Lazio primatista con 98, seguito da Lombardia (96) e Campania (75). Infine, il valore Rt, l’indice di trasmissibilità (numero di contagi prodotti da una persona nel suo periodo infettivo): in Sicilia, fra il 5 e l’11 ottobre, è pari a 1,23, l’ottavo d’Italia.

C’è da preoccuparsi per queste statistiche? Sì, ma senza perdere la lucidità. Perché fra la prima e la seconda ondata emergono differenze significative. Proviamo ad approfondirle. Comparando le due date con il maggior numero di nuovi contagiati giornalieri in Sicilia durante e dopo il lockdown: il 26 marzo e il 16 ottobre. Nel primo caso il dato, all’epoca allarmante, fu di 171; quello di venerdì (578) è peggiore. Ma il timore del virus non va elevato al cubo.

Il motivo più banale è matematico: il primo picco era basato su 1.095 tamponi, quello di 48 ore fa su 5.934, con un rapporto positivi/test del 7,5%, inferiore al 12,6% di marzo. Non a caso gli infetti “operativi” all’epoca erano 1.095 (681 in isolamento), mentre adesso sono 5.934 di cui (5.405 a casa).

Impressiona anche il più recente totale dei ricoverati con sintomi (529), superiore ai 414 di fine marzo. Ma entriamo ancora nel dettaglio: il tasso di ospedalizzazione (numero di ricoverati sui contagi attivi), ora all’8,9%, nel picco d’inizio primavera era del 62,1%. E così anche gli attuali 58 pazienti in rianimazione, appena 10 meno del 26 marzo, sembrano pesare un po’ meno. Le vite umane, però, non sono numeri. E le 10 vittime di venerdì (come le due di ieri) sono un dramma, persino più pesante degli 8 morti registrati nel giorno con più nuovi casi nel lockdown. Ma ora il tasso di letalità (decessi sul numero di positivi) è dello 0,16%, contro lo 0,73% di sette mesi fa.

All’assessorato regionale alla Salute, oltre al mini-focolaio interno (10 contagiati nello staff del dirigente generale Mario La Rocca, positivo asintomatico, con decine di contatti in isolamento volontario, compreso il commissario per l’emergenza Covid di Palermo, Renato Costa, e gli uffici di piazza Ziino chiusi fino a domani), guardano con la dovuta attenzione al ritmo costante di crescita, dopo l’estate, dei principali indicatori. Più che il dato dei nuovi contagiati, sotto osservazione c’è il trend dei ricoveri. Ieri in Sicilia erano occupati 540 degli 800 posti di degenza ordinaria e 61 dei 94 di terapia intensiva. Cosa succederà? Secondo Giuseppe Natoli, data manager dell’unità di Medicina interna del Civico di Palermo, al prossimo 14 novembre la stima è di 1.250 ricoveri e 125 pazienti in terapia intensiva, a fronte di un’attuale capacità di oltre 1.800 posti letto Covid e quasi 200 di rianimazione, attivabili in 48 ore in caso d’emergenza. Il sistema siciliano, dunque, dovrebbe reggere anche al boom previsto nel prossimo mese.

Molta attesa, adesso, c’è sui 128 milioni disponibili per la Sicilia dal governo (tratti da fondi della Banca europea degli investimenti) per 32 progetti di potenziamento degli ospedali in chiave anti-Covid. Sarà Nello Musumeci, in veste di commissario delegato da Palazzo Chigi, a gestirli, con procedure rapide e deroghe alle norme sugli appalti, affidandosi al redivivo Tuccio D’Urso, ex dirigente regionale anti-fannulloni, in veste di soggetto attuatore. L’iter sconta un ritardo romano, rinfacciato ieri in videoconferenza dall’assessore Ruggero Razza al commissario nazionale per l’emergenza: i piani delle Regioni sono da mesi sul tavolo di Domenico Arcuri, che, ad esempio, soltanto lo scorso 8 ottobre ha nominato Musumeci. La proposta siciliana prevede, fra l’altro, il riordino di tutti i reparti di pronto soccorso degli ospedali dell’Isola (con percorsi separati per pazienti Covid ed extra-Covid), ma soprattutto nuovi posti: 253 di terapia intensiva e 318 di sub intensiva (di cui 159 predisposti per la trasformazione immediata in intensiva); 57,6 milioni da usare la per l’acquisto di attrezzature elettromedicali.

Ieri a Roma, ospite dei Giovani di Confindustria, il governatore torna a chiedere più spazio d’azione al governo: «In tempo di epidemia, e quindi di guerra, le linee generali deve darle il governo. Ma ai governatori deve essere data l’autonomia». Anche nel disporre lockdown locali? «Non c’è dubbio», risponde. E anche «eventuali alleggerimenti mirati delle misure nazionali». Ma Musumeci, fra proiezioni e progetti, ha un altro brutto pensiero. E confessa ai suoi il timore per il successivo picco: quello di Natale.

Twitter: @MarioBarresi

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