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Covid e Dpcm: la Sicilia in “fascia arancione” si affida alle decisioni di Roma

Di Mario Barresi |

CATANIA – La Sicilia è in “zona arancione”. Nella parte medio-alta della classifica dell’emergenza, ma – almeno per ora – a una certa distanza dalle regioni più a rischio. Il dato è venuto fuori dai tanti confronti con il governo nazionale: nella mappa che sarà tracciata nel prossimo Dpcm, la situazione siciliana non è ancora assimilabile allo «scenario 4», quello di «rischio molto alto/alto», con «trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo», nel quale secondo i dati dell’Istituto superiore di Sanità rientrano già Lombardia, Piemonte e Calabria, già nel mirino delle misure più restrittive che saranno disposte con decreti del ministero della Salute. E l’Isola non è, almeno rispetto alle ultime statistiche, neanche nel gruppone di Regioni in bilico verso lo status di “zone rosse”, in cui l’indice Rt ha già superato la soglia d’allerta di 1.5.

La Sicilia è ancora (si fa per dire) nel cosiddetto “scenario 3”, ma nella fascia di “rischio alto”, assieme a Puglia e Toscana, con una situazione più critica di regioni a “rischio moderato”. La classificazione, che poi sarà decisiva per rientrare nelle diverse fasce del Dpcm che a breve sarà firmato da Giuseppe Conte, dipende solo in parte dall’ormai famoso indice di trasmissibilità: in Sicilia l’ultimo stilato dall’Iss è di 1.42, ma, secondo le proiezioni dei dati dell’ultima settimana, potrebbe essere già salito.

Ma il governo ha anche altri criteri di scelta per determinare l’ingresso di una regione nello “scenario 4” che coincide con il lockdown. Per l’Iss, infatti, si devono registrare «incidenza dei casi e gravità cliniche elevate», con «pressione sostenuta per i dipartimenti di prevenzione e i servizi assistenziali».

Occhio dunque alla tenuta delle terapie intensive: la Sicilia, seppur per pochi decimali, rientra nella lista nera delle 15 regioni che secondo Conte «rischiano di andare in sofferenza nelle prossime settimane»; ma già oggi, o al massimo domani, l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, trasmetterà al Cts regionale il piano di incremento dei posti in rianimazione, oltre che dei reparti Covid.

Ma adesso il punto di caduta è politico. E la linea di Nello Musumeci, che anche ieri s’è tenuto distante dalle barricate di altri governatori di centrodestra, è evitare che la patata bollente del lockdown ricada sulle Regioni, con tutti gli oneri di responsabilità nei confronti dei cittadini e, soprattutto, delle categorie produttive. Musumeci, in serata, citando il richiamo all’unità di Sergio Mattarella, lo spiega con parole felpate: «Se spetterà alla Regione adottare misure contenitive, sarà fondamentale costruire un filtro di condivisione dei livelli di emergenza con i ministri della Salute, dell’Economia e dell’Interno per avere precise garanzie a sostegno dei territori in lockdown».

Tradotto: non mi assumo la responsabilità politica (né quella penale, in caso di ritardo nell’applicazione delle misure) senza un paracadute romano. Per questo il governatore, pur proclamandosi «in linea con il criterio generale che vede l’adozione di misure omogenee per l’intero territorio nazionale», vuole prima leggere le carte di Conte. Per «comprendere da subito come aggiornare e rendere più evidenti i parametri per le chiusure localizzate e i margini di manovra che eventualmente verranno assegnati alle Regioni». E anche per capire se i «contributi» offerti dalla Sicilia sono stati presi in considerazione.

Primo fra tutti, come confermano fonti di Palazzo d’Orléans, la richiesta di non basare la collocazione di una regione in fascia rossa su parametri «troppo sbilanciati sull’indice Rt». Perché nell’Isola, ad esempio, si continuerà a puntare su una «massiccia campagna di tracciamento anche con i tamponi rapidi» e dunque è statisticamente scontato che salirà la curva dei contagi. «Ma se a Roma si basassero soltanto sui numeri assoluti – ragionano nel governo regionale – e noi nel frattempo “stanassimo” 20mila positivi isolandoli a casa, correremmo il rischio di essere puniti per comportamenti invece virtuosi».

Un altro punto su cui il governatore richiama l’attenzione di Palazzo Chigi è «uno scudo penale per il personale impegnato nell’emergenza Covid», perché «chi è in corsia non può essere costretto a gestire i pazienti, ed eventualmente a dimetterli, se li ritiene guariti, con la paura di denunce e processi». E ieri, più a mente fredda rispetto anche alla bufera che ha investito il collega ligure Giovanni Toti, Musumeci in videoconferenza smozzica anche il suo parere sui “lockdown dei nonni”: sarebbe «un brutto messaggio».

Ma nel nuovo Dpcm in arrivo il lockdown non sarà per categorie ma per regioni e zone. Il tentativo che si sta facendo – ha spiegato la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa – è non paralizzare il Paese: non sarà un lockdown rigido, ma simile al modello tedesco, «un lockdown light». Ma – ha concluso – è abbastanza complicato cercare di fare una misura sartoriale basata su zone, è uno sforzo grandissimo che stiamo facendo». La Sicilia resta in attesa e si affida quindi a Roma, confidando di non essere tra le Regioni a maggior rischio. Al momento è al limite, più arancione che verde.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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