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Sicilia verso un arancione “a pois” rossi: la Regione pronta a tutti gli scenari

Di Mario Barresi |

Adesso, quando impazza di nuovo la lotteria stile United colors of Covid – il governo che stringe sui criteri per la scelta delle zone, con la tentazione, spinta dal Cts nazionale, di una cura in rosso per tutte le regioni; la Sicilia che, pur essendo con parametri da giallo, chiedeva il rosso, ma ha ottenuto l’arancione ed è pronta a un’Isola a pois con grosse chiazze di rosso, non soltanto nelle grandi città – si rischia di diventare un po’ tutti daltonici. Confondendo la gradazione (molto di più di cinquanta sfumature) dei colori, ma anche perdendo il senso della misura. E delle misure.

Cosa succederà nell’Isola? I bookmaker del colorificio nazionale, in attesa del verdetto di venerdì, ci piazzano fra le regioni certamente in arancione, con la possibilità di un ingresso fra quelle in rosso (tre le più quotate; Veneto, Emilia-Romagna, Friuli, più la Provincia di Bolzano; la Sicilia è nella terna di quelle in bilico, assieme a Marche e Provincia di Trento), sfoderando soprattutto il nuovo criterio dei 250 casi settimanali ogni 100mila abitanti.

Ruggero Razza, che ieri ha avuto l’ennesimo confronto col ministro Roberto Speranza, non si fa prendere dall’ansia da prestazione multicolore. È stato proprio l’assessore alla Salute a inoltrare al presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, il dettagliato parere con cui il Cts regionale invocava, di fatto, «per non meno di tre settimane», la zona rossa in Sicilia «a prescindere dal livello di rischio che verrà assegnato alla regione». E dunque il governo regionale è già predisposto a qualsiasi scenario. «Abbiamo già rafforzato, con l’ordinanza del presidente Musumeci, le azioni standard previste dalla zona arancione in cui siamo stati, su nostra richiesta, inseriti. E adesso, con il conforto del nostro comitato tecnico-scientifico, siamo pronti all’ulteriore rafforzamento delle misure su base territoriale, ovviamente dopo aver visto il provvedimento di venerdì del governo nazionale».

Quella di ieri è stata l’alba della zona rossa a Messina, primo capoluogo di provincia inserito nel regime più rigido delle procedure anti-Covid, in compagnia di Castel di Iudica e Ramacca, nel Catanese. E ieri pomeriggio il governatore Nello Musumeci, d’intesa con l’assessore Razza, ha inserito anche Ravanusa e Santa Flavia (da domani a domenica 31 gennaio), prorogando la stretta su Capizzi.

Nella città dello Stretto c’è uno scontro – più politico che epidemiologico – con il sindaco Cateno De Luca, che dopo aver corretto un refuso, segnalato da Razza, nell’ordinanza “fai-da-te”, si sfoga, chiedendo all’assessore «di pensare non a me, ma tutte le nefandezze che hanno fatto i suoi uomini a Messina portandoci in zona rossa». Razza non replica, ma ieri passa gran parte della giornata proprio a Messina. Dove, confessa a La Sicilia, «in strada c’era un popolo», immagine-simbolo di «un grande problema», ovvero «i controlli, completamente carenti, sul rispetto delle nuove regole, come ad esempio su decine di negozi, che non potevano essere aperti, ma che a Messina ho visto aperti. Chi controlla?». Il tema è stato più volte sollecitato da Musumeci, che continua a pressare sui prefetti.

Ma questo aspetto ci proietta su uno scenario ben più complesso. Tutti invocano la zona rossa. L’ha fatto anche il sindaco Leoluca Orlando, per Palermo, sospendendo la Ztl fino al 17 gennaio; magari dovrebbe farlo, viste anche alcune immagini che girano fra web e social, anche il collega etneo Salvo Pogliese; e Gela, di fatto un capoluogo per numero di abitanti, il primo cittadino Lucio Greco chiede la stessa misura in base a dati allarmanti (737 positivi e 40 focolai), firmando un’ordinanza che proroga la chiusura di nidi, asili e scuole dell’infanzia fino al 16.

La zona rossa è la soluzione più popolare, a leggere i sondaggi, ma fors’anche la più populista. E di certo la più deresponsabilizzante dal punto di vista politico. Il massimo risultato col minimo sforzo, al netto dei ristori da invocare puntando il dito sul governo nazionale.

Magari c’è un’altra strada, più seria e più legata ai criteri oggettivi (i famosi 250 casi ogni 100mila abitanti), che in questo momento, ad esempio, escluderebbero le altre due città metropolitane dalla red zone. Razza ha sempre nel cassetto – e in testa – il parere del Cts, che chiedeva misure differenziate per i centri con oltre 10mila abitanti (divieto di spostamento anche all’interno del comune; chiusura di bar, ristoranti, centri estetici ed esercizi commerciali tranne quelli di generi alimentari che dovrebbero anticipare la chiusura alle 18; saracinesche abbassate dalle 15 anche per edicole, tabaccherie, lavanderie, parrucchieri e barbieri) e altri interventi su tutto il territorio regionale (coprifuoco dalle 18 alle 6, lunga stretta sulla didattica in presenza nelle scuole, stop ad attività sportive, musei e mostre, teatri, cinema, palestre, sale giochi, sale scommesse, bingo). Un piano che potrebbe essere ripreso, anche in parte, dopo le decisioni del governo di venerdì prossimo.

E poi c’è l’aspetto che in molti dimenticano. La disponibilità dei posti letto negli ospedali. Le corsie siciliane tornano a essere sotto pressione. Soprattutto nel Palermitano. Ieri mattina picco di ricoveri a Termini Imerese, con alcuni pazienti dirottati altrove. Anche nel pronto soccorso di Villa Sofia, a Palermo, si è registrato qualche problema. All’ingresso dell’area di emergenza è stato affisso un cartello con la scritta «si accettano solo codici rossi».

Dal punto di vista statistico, il tema per ora non si pone. Secondo i dati Agenas, aggiornati al 10 gennaio, in Sicilia ci sono 4.167 posti di degenze ordinarie (ieri i pazienti erano 1.298) e 813 in terapia intensiva (208 ricoverati), ben sotto la soglia d’allerta. «Ma perché se ci sono tutti questi posti – si chiede Angelo Collodoro, vicesegretario del Cimo, sindacato medico – a Palermo gli ospedali sono praticamente “sold out”? È possibile che la pandemia abbia falcidiato soltanto la capienza della città di Palermo, è credibile tutto ciò?».

Razza parte da un’altra premessa: «La seconda ondata abbiamo cominciato ad affrontarla con 70 ricoveri in rianimazione, oggi ne abbiamo già più di 200 in quella che si annuncia come la terza, quindi dobbiamo essere ancor più preparati». Ieri, a Messina, l’assessore ha riunito tutti i manager sanitari. Lo stesso avverrà, fra oggi e domani, a Catania e Palermo, con l’input diffuso a tutte le province: «Incrementare la dotazione dei posti letti rispetto allo step previsto al 30 novembre», con un sistema che in assessorato non definiscono più “a fisarmonica”, sfoderando una metafora sportivo-marittima: quella della tavola da surf capace di «seguire l’onda del contagio». Per questo, ad esempio, agli ospedali del Palermitano e del Messinese, da piazza Ottavio Ziino sarà chiesto «un potenziamento ulteriore».

Twitter: @MarioBarresi

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