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La Sicilia all’orizzonte vede l’arancione, ma gli esperti invocano nuove restrizioni

Di Redazione |

CATANIA – C’è attesa in Sicilia dove domenica in tanti sperano di ritrovarsi in una regione di colore arancione  per riprendersi un po’ di libertà, per tornare a muoversi, per riaprire negozi e scuole secondarie. Ma siamo sicuri sia la strada giusta? Dopo un calo, i contagi negli ultimi due giorni sono apparsi di nuovo in risalita. Per avere il quadro più chiaro bisognerà attendere il monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità di domani con i dati aggiornati ad oggi. Se fossero confermati i numeri analizzati la settimana scorsa sono diverse le Regioni, Sicilia compresa, che potrebbero passare in una fascia con minori restrizioni.

Con una premessa, però. Per passare alla fascia di rischio più bassa – ad esempio dal rosso all’arancione o dall’arancione al giallo – devono trascorrere 14 giorni a partire da quello in cui per la prima volta vengono registrati dati che consentono la collocazione nella fascia più bassa. In sostanza, bisogna avere dati da fascia gialla o arancione per 14 giorni consecutivi prima di potervi accedere ufficialmente. Il Dpcm dice infatti che l’aggiornamento scatta «fermo restando la permanenza per 14 giorni in un livello di rischio o scenario inferiore a quello che ha determinato le misure restrittive comporta la nuova classificazione».

Alla luce di ciò, quali regioni potranno cambiare colore? Tutte quelle che da venerdì 15 gennaio hanno fatto registrare dati da fascia gialla, se sono arancioni, o da arancione se rosse. La Sicilia sembra avere tutti i parametri in regola per tornare arancione: l’Rt, ha spiegato l’assessore alla Salute Ruggero Razza, è in calo e i parametri dei posti letto in terapia intensiva e area medica sotto la soglia critica. Ma si tratta di numeri davvero risicati:  la percentuale delle terapie intensive della Sicilia – come sottolinea oggi la Fondazione Gimbe – è al 28%, soltato due punto percentuali sotto la soglia critica. E se vero che i casi sembrano leggermente in diminuzione, va sottolineato che sono diminuiti anche i test effettuati ogni 100.000a abitanti.

In attesa del monitoraggio di domani, gli esperti che seguono l’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 in Italia non usano mezzi termini per descrivere l’andamento dei casi a livello nazionale. C’è chi vede nei dati i primi segnali di una ripresa della curva e chi punta l’indice su una situazione di stallo che si sta prolungando oltre ogni previsione. In ogni caso l’aumento del 44% in un giorno i casi positivi al virus SarsCoV2 in Italia e il numero ancora alto dei decessi sono i segnali di una situazione difficile e che impone di tenere alta la guardia.

«I dati rivelano una situazione preoccupante, alla luce della quale, dopo gli effetti positivi delle misure del periodo delle feste di fine anno, sarebbe necessario mettere in atto al più presto nuove misure restrittive analoghe per tipo e durata», osserva il matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iac). L’obiettivo, prosegue, è «portare la percentuale a valore più bassi e tornare così al controllo del tracciamento. Tramite risultati di simulazione si può dimostrare che ritardare le misure restrittive comporta un costo maggiore sia in termini di decessi che di durata delle misure e di conseguenza anche dal punto di vista economico». Inoltre, prosegue, «da 30 giorni i decessi oscillano attorno ad un valore medio di 480 al giorno e, visto il forte rallentamento della vaccinazione, l’unico modo per ridurre la mortalità è ridurre l’incidenza dei positivi».

Dall’analisi del matematico emerge che «per la maggioranza delle regioni-province autonome il trend negli ultimi 7-10 giorni è di aumento o di stasi. La percentuale dei positivi, osserva, è stata calcolata, dal 15 gennaio, solo sulle undici regioni-province autonome che trasmettono i dati sui positivi separatamente per i test molecolari e per quelli antigenici rapidi, mentre le altre non lo fanno, Tra queste ci sono regioni molto popolose e molto colpite dall’epidemia, come Abruzzo, Liguria, Marche e Veneto. Questo perché, rileva Sebastiani, “calcolare la percentuale cumulando i dati dei due tipi di test è sbagliato in quanto le percentuali separate sono molto diverse e quindi quella cumulativa dipende dalla percentuale dei test molecolari sul totale dei test, che varia molto tra le regioni.

Pone l’accento sulla stasi lo statistico Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi): «Siamo in una sorta di plateau molto lungo e, a sette settimane dal picco raggiunto in novembre, decessi e ricoveri sono scesi solo di un terzo». Questo significa che «in dicembre c’è stato qualcosa che non ha funzionato bene», osserva riferendosi allo shopping prenatalizio: probabilmente è la ripresa nella circolazione del virus favorita da quella situazione a determinare il blocco attuale.

Uno stallo che emerge soprattutto dai dati relativi ai decessi: «La media settimanale dei decessi – rileva lo statistico – è ferma a circa 480 al giorno, contro i 730 del periodo tra fine novembre e inizio dicembre. Se avessimo continuato a scendere con lo stesso ritmo adesso dovremmo essere intorno a 200».

Ma come si può uscire da questa situazione di stallo? «Osserviamo quello che è accaduto nella prima fase nella scorsa primavera, solo un lockdown totale può far scendere i casi in modo radicale e completo – analizza l’epidemiologo Francesco Forastiere, professore all’Imperial Collage di Londra e direttore scientifico della rivista “Epidemiologia e prevenzione” ,- se osserviamo quello che è accaduto a novembre-dicembre, solo le regioni con colore rosso hanno avuto una discesa rapida della curva epidemica. Le zona gialle hanno mostrato una discesa molto disomogenea e per le regioni in arancione, il colore attuale di molte regioni, il declino di casi è stato modesto. – precisa – In questo periodo, un esempio lungimirante è la Sicilia, la Regione che ha voluto la zona rossa sulla base dei preoccupanti dati di incidenza».

Per far scendere la curva quindi secondo Forastiere occorre «un lockdown deciso, programmato, magari che duri un mese». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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