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Terapie intensive, la Sicilia promossa «Altri 520 posti a tempo di record»

Di Mario Barresi |

Catania. E adesso c’è soltanto un rimpianto. Non decisivo – perché, per fortuna, in questi mesi non c’è stato bisogno di quello che poteva essere e non è stato – eppure significativo. Proprio nella Sicilia che si presenta come prima della classe a livello nazionale, sostenendo di aver fatto presto e bene i compiti a casa, ci saranno altri 520 nuovi posti di terapia intensiva, frutto – come recita una dettagliata nota di Palazzo d’Orléans di 79 progetti, 18 dei quali già in cantiere fra cui tre già conclusi e prossimi all’inaugurazione, altri 12 in opera entro fine marzo. Per un investimento totale di 240 milioni di fondi nazionali. È una dimostrazione che, talvolta, quando lo Stato delega qualcosa alla Regione, la risposta può anche essere all’insegna dell’efficacia e dell’efficienza.

Certo, il piano di potenziamento delle strutture sanitarie siciliane, gestito dalla struttura che fa capo al presidente della Regione Nello Musumeci, in veste di commissario delegato da Palazzo Chigi per l’attuazione degli interventi, sarà definitivamente completato quando si spera che l’incubo del Covid sarà, se non proprio finito, meno pesante, anche grazie alla campagna di vaccinazione.

Il sistema dell’assessore Ruggero Razza, rimodulato dall’ormai celebre “modello fisarmonica” a una strategia più simile a un surfista che cavalca l’onda (o meglio: l’ondata) dei contagi, ha comunque retto senza questi 520 posti in più – siano comunque benedetti – anche durante il picco in cui la Sicilia entrò in zona rossa. Ma, oltre alla consapevolezza che «è meglio curarsi in salute» (uno dei mantra preferiti di Nello Musumeci in tema di lotta alla pandemia), soprattutto con il diffondersi della variabile impazzita delle varianti, il potenziamento delle terapie intensive è fondamentale. Così come lo è la possibilità di «riconfigurare 27 Pronto soccorso dotandoli di percorsi separati per i pazienti sospetti Covid».

Certo, visto il ritmo con cui Palermo ha risposto all’input di Roma – il piano «marcia come un treno ad alta velocità» rivendica il governo regionale – il rimpianto è proprio il ritardo con cui l’ormai ex commissario nazionale, Domenico Arcuri, conferì la delega a Musumeci: il 15 ottobre scorso, a fronte di un pressing partito a luglio. La storia, nemmeno quella in versione live della pandemia, non si fa con i ma e con i se. Ma se la macchina siciliana – forte di un regime commissariale, con deroghe simili allo “Sblocca-cantieri” nazionale – fosse partita nell’estate in cui tutti c’eravamo dimenticati del Covid, molti di quei cantieri oggi sarebbero già posti letto. E magari lo sarebbero stati, seppure in parte, anche quando scoppiò il caso dell’audio del dirigente Mario La Rocca che pressava i manager per «caricare i posti» nella piattaforma virtuale. Il ministero della Salute inviò gli ispettori: la loro relazione resta top secret.

Ma ormai è meglio guardare avanti, è giusto così. E registrare che la Sicilia, autocertifica il dossier della Presidenza, è «la prima regione d’Italia nell’avanzamento del programma di riqualificazione della rete ospedaliera».

E allora entriamo dentro questo «programma imponente da realizzare a tempi da record», un piano di potenziamento delle strutture sanitarie siciliane che riguarda 16 delle 19 Aziende ospedaliere della Regione: il punto d’arrivo è «portare a 700 i posti di terapia intensiva complessivamente disponibili nell’Isola e adeguare le strutture dei pronto soccorso, dove spesso pazienti normali e pazienti con patologie infettive, tra cui il Covid, rischiano di incrociarsi pericolosamente».

Il piano nasce in attuazione delle norme di legge del maggio-luglio 2020, varate per colmare il gap manifestatosi in tutta la sanità italiana sul numero esiguo di terapie intensive e sui percorsi indifferenziati nei pronto soccorso. In Sicilia c’erano solo 180 posti di terapia intensiva. Adesso diverranno presto 700. Per realizzare le 520 nuove terapie intensive ed effettuare gli interventi sui pronto soccorso è prevista una spesa di 240 milioni di euro, fondi che provengono dal Piano nazionale varato dalla struttura commissariale (da qualche giorno guidata da Francesco Paolo Figliuolo, generale di corpo d’armata dell’Esercito) e da un cofinanziamento della Regione. Dentro il plafond complessivo, più che raddoppiato rispetto ai 128,3 milioni della versione iniziale, sono finiti anche fondi non spesi da vent’anni. Un ulteriore valore aggiunto, assieme a una raffica di altri rimpianti sul passato.

E poi, per Musumeci ancor più che per Razza, c’è la sottile soddisfazione di gustare un piatto, freddo ma delizioso, della vendetta contro l’Ars dei franchi tiratori che votò l’eutanasia dirigenziale del burocrate anti-fannulloni. La struttura di attuazione del Piano regionale vede l’ingegnere Tuccio D’Urso alla guida di un team di quattro funzionari provenienti proprio dal dipartimento regionale dell’Energia, uno dei quali con funzione di “validatore” delle procedure e di una figura legale necessaria per la firma dei contratti d’appalto.

«Una struttura snella che riesce a operare con estrema rapidità, anche perché si affida a fornitori delle attrezzature e a imprese realizzatrici delle opere già selezionati con gli “accordi quadro” nazionali firmati proprio dalla gestione Arcuri. Un’opzione – spiegano dalla Regione – che ha permesso di bruciare i tempi e fare in pochi mesi quello che avrebbe richiesto anni, velocizzando tutte le procedure amministrative per far partire i cantieri una volta che la progettazione esecutiva è in capo alle imprese appaltatrici».

Ed è qui che si coglie al meglio il senso della rapidità. «In diciotto cantieri siamo già al lavoro, entro fine marzo ne apriremo altri 12 – anticipa D’Urso – e in ogni caso entro giugno le opere più semplici saranno concluse e comunque tutti gli interventi previsti saranno avviati. Eccetto due, decisamente più complessi, che riguardano l’ospedale Cervello-Villa Sofia di Palermo. Anche questi, però, partiranno senz’altro entro fine anno. Intanto ci sono già i primi interventi in dirittura d’arrivo: le terapie intensive all’ospedale Garibaldi centro a Catania e quelle dell’ospedale Fratelli Parlapiano di Ribera».

La dead line, dunque, è l’estate. Proprio la stessa che tutti aspettano come un rito liberatorio di massa. Ma, semmai dovesse seguire un altro autunno in cui il karma del virus sarà sempre predominante, stavolta – nella terra delle cicale e del cicaleggio – avranno vinto le formiche operose.

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