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Covid, la Spagna pensa di vietare il fumo all’aperto. Ma ecco quanto aumenta veramente il rischio contagio

Di Redazione |

ROMA –  In Spagna cresce il movimento che chiede misure restrittive per il divieto di fumo all’aperto. La “nuvola” di aerosol prodotta dalla sigaretta, tradizionale ed elettronica, potrebbe essere un vettore del virus soprattutto nei luoghi, come terrazze o dehors, dove la distanza tra i clienti è ridotta. Secondo José Luis Díaz-Maroto Muñoz, responsabile comunicazione Grupo de Tabaquismo de Semergen (Sociedad Española de Médicos de Atención Primaria), «chi espira il fumo lo proietta da una distanza maggiore rispetto a quando parla o respira. Inoltre, il fumo veicola l’aerosol che trasmette il virus almeno a 8 metri di distanza. Per questo è importante non fumare all’aperto quando si hanno persone vicine».

In Spagna alcune comunità autonome – scrive ‘El Pais’ – stanno lavorando al divieto di fumo all’aperto. «La distanza di un metro e mezzo tra le sedie di commensali in un ristorante all’aperto è sufficiente se i clienti si limitano a parlare e mangiare – avverte Díaz-Maroto Muñoz – Ma non va bene se si fuma un sigaretta».

Ma il professore catanese Riccardo Polosa, fondatore del Coehar, il Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell’Università degli Studi di Catania,  non è d’accordo «con questa proliferazione di divieti generici non basati su evidenze scientifiche. Fumo e svapo non sono la stessa cosa. Si tratta di strumenti e condizioni di utilizzo diversi, così come di principi opposti. I fumatori sono soggetti che vanno aiutati a smettere, non pazienti da tenere relegati con divieti e bandi».

Polosa, ordinario di Medicina Interna a Catania, ricorda un recente studio del Coehar sulle sigarette elettroniche: «Considerando la brevità della “svapata”, il tempo di esposizione e i dati statistici su carica virale e tasso di infezione, “svapare” comporterebbe un aumento di solo l’1% del rischio di contagio rispetto alla normale respirazione a riposo. In secondo luogo – precisa – uno studio che ha valutato l’effetto del fumo di sigarette sull’espressione della proteina che regola l’ingresso del virus nel corpo ha suggerito un possibile fattore protettivo della nicotina nei confronti dell’infezione”.

Per capire meglio i risultati dello studio pubblicato dal Coehar sulla rivista ‘International Journal of Environmental Research and Public Health’, «basta pensare che 2 minuti di tosse nell’arco di un’ora corrispondono a un aumento del rischio del 260% e parlare per 6 minuti comporta un aumento del rischio del 44%», rimarca Polosa.

Nello studio sono stati valutati due diverse tipologie di scenario: sia abitazioni private che luoghi pubblici, chiusi e all’aperto. Lo scenario casa «ha inciso moltissimo per la propagazione del virus: vivere in maniera rilassata la propria abitazione senza precauzioni ovviamente aumenta le probabilità di contagio. In tal caso, “svapare” non comporta significativi aumenti del rischio, in presenza di comportamenti, come il vivere insieme o il parlare, che comportano rischi maggiori”, precisa la ricerca L’altro scenario considerato è quello dei luoghi chiusi, “con una sufficiente ventilazione naturale e meccanica: in presenza di tutte le norme di prevenzione, il “vaping” comporta solo l’1% di rischio aggiunto. Inoltre la possibilità di vedere il fumo emesso grazie allo “svapo” permette di visualizzare concretamente gli sbuffi e, nel caso, evitarli: molto più sicuro che attività quali il parlare o il tossire”.

«Studiare e comprendere quali sia il ruolo delle diverse attività respiratorie nella trasmissione del virus è di fondamentale importanza per migliorare le strategie dirette al contrasto della diffusione dell’infezione e per informare correttamente la popolazione – conclude Polosa – ciononostante sebbene lo svapo rappresenti un rischio di contagio irrisorio è comunque vitale il distanziamento sociale e le buone regole di comportamento contro il Covid-19».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA