Palermo, omicidio imprenditore: i condannati escludono presenza minore
PALERMO - Il minore che per primo fu arrestato per l’omicidio Massimo Pandolfo non era presente al momento del reato. Lo hanno confermato, davanti ai giudici d’appello del Tribunale dei minori, due dei condannati per l’uccisione dell’imprenditore, ammazzato a coltellate il 25 aprile del 2013. A deporre sono stati Marco Sanfratello, già condannato definitivamente a dieci anni, e Giuseppe Managò condannato in primo grado a 30 anni. Entrambi hanno riferito di non conoscere nemmeno il ragazzo imputato, a cui gli inquirenti arrivarono esaminando i tabulati telefonici della vittima che faceva sesso a pagamento con l’adolescente. L’imputato si era autoaccusato dell’assassinio dopo 14 ore di interrogatorio. «Sono stato io», aveva detto, raccontando i particolari del delitto, al pm Geri Ferrara e ai carabinieri ai quali riferì pure di essersi appartato ad Acqua dei Corsari con l’imprenditore che gli avrebbe fatto richieste sessuali che lui non avrebbe voluto esaudire. Sarebbe nata una discussione: il sedicenne a un certo punto avrebbe trovato un coltello e avrebbe colpito l’”amico”. Ma la ricostruzione non convinse i magistrati che proseguirono l’indagine scoprendo che il ragazzo non aveva avuto alcun ruolo nel delitto, passato comunque per competenza alla procura dei minorenni. Nonostante le incongruenze e la ritrattazione del minore, i pm dei minorenni avevano chiesto la condanna del ragazzo che poi fu assolto. Per l’omicidio è stato condannato a 30 anni anche Giuseppe Pollicino, che oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere.