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Stragi di mafia del ’92 e del ’93, Dell’Utri e Berlusconi indagati a Firenze come mandanti

Di Redazione |

FIRENZE – Per la terza volta in meno di venti anni Silvio Berlusconi è indagato dalla procura di Firenze per le stragi del 1993 a Roma, Milano e Firenze. L’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex premier e di Marcello Dell’ Utri (attualmente in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa) sarebbe stata decisa dal procuratore Giuseppe Creazzo, che ha affidato il fascicolo alla pm Angela Pietroiusti dopo il via libera del gip. A Firenze sono state trasmesse le intercettazioni del boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, intercettazioni che erano state disposte dalla procura di Palermo, nel carcere di Ascoli dove Graviano è detenuto, nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Dalla procura fiorentina non arrivano conferme ufficiali, anzi nessun commento, ma di certo gli ultimi atti dalla Sicilia erano arrivati nel giugno scorso. Qualcuno stamani, in ambienti giudiziari, ha fatto notare che è questo quasi ‘un atto dovutò. In realtà una differenza con le due precedenti inchieste c’è: qui non si parte dalle dichiarazioni di uno o più pentiti ma dalle parole del boss di Brancaccio intercettato il 10 aprile 2016 mentre parlava con un altro detenuto, Umberto Adinolfi. “Berlusconi mi ha chiesto questa cortesia, per questo c’è stata l’urgenza», dice Graviano ad Adinolfi. Parole contestate a Palermo dalla difesa di Dell’Utri perché il boss non direbbe ‘Berlusconì ma ‘bravissimo’. Così non la pensano gli esperti della procura. Oggi l’avvocato del Cavaliere, Nicolò Ghedini, ribadisce con forza che «Berlusconi è completamente estraneo», convinto che «anche quest’inchiesta sarà presto archiviata».

Un chiaro riferimento a quanto successo in passato. A Firenze, infatti, una prima inchiesta era stata aperta nel 1996 e chiusa due anni più tardi, nel 1998, dal gip Giuseppe Soresina. Berlusconi e Dell’Utri venivano indicati come ‘autore 1 e autore 2’. Il giudice nel decreto di archiviazione scrisse “che erano stati raccolti elementi ‘significativì a conferma del fatto» che autore 1 e autore 2 avessero «intrattenuto rapporti non meramente episodici» con i responsabili del programma stragista del 1992-1994. Soresina aggiunse che le indagini avevano rafforzato la tesi secondo cui cosa nostra aveva «agito a seguito di inputs esterni», ma concluse affermando che gli inquirenti non avevano potuto trovare «la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità».

Un’analoga inchiesta, più o meno nello stesso periodo (archiviata nel 2002), venne portata avanti anche dalla procura di Caltanisetta, titolare dei fascicoli sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. La seconda inchiesta fiorentina fu invece aperta dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza: per circa quattro anni, dal 2009 al 2013, i magistrati cercarono riscontri ma, come disse l’allora procuratore Giuseppe Quattrocchi, «bisogna fare i conti con le prove e non con le ipotesi». L’inchiesta, sulla quale non ci fu mai una dichiarazione ufficiale della procura, venne quindi archiviata dal gip Mario Profeta. Chi chiede, ancora una volta, «verità», e «un processo per strage ai probabili concorrenti della mafia», è oggi la presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli preoccupata «che la notizia sia uscita sui giornali ora in sede di imminenti elezioni politiche». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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