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Caos rifiuti in Sicilia, ecco il piano segreto

Caos rifiuti in Sicilia, ecco il piano segreto tra commissariamento e mini inceneritori

E Siculiana rischia di esaurirsi nel giro di 4 anni

Di Redazione |

Da un lato c’è un disastro certificato: la gestione dei rifiuti in Sicilia, un alone puzzolente di responsabilità che da Totò Cuffaro, attraversando Raffaele Lombardo, arriva fino a Rosario Crocetta. Dall’altro c’è l’embrione di un altro fallimento: la dubbia efficacia dell’annunciata ordinanza d’emergenza della giunta regionale, con i commissari nelle Ssr (gli ex Ato Rifiuti, da ridurre da 18 a 5) e la proroga delle discariche.

In mezzo tante altre cose: dall’insostenibile tentazione di un commissariamento di Palazzo Chigi ai ricchi affari dell’immondizia da “export” e dei nuovi impianti da costruire; dal «piano-shock» annunciato dal sottosegretario Davide Faraone per uscire dall’inferno-rifiuti fino ai sospetti dei grillini («La verità è che si vuole creare il caos per accelerare su scelte criminali come gli inceneritori»); dall’ennesimo scontro nel Pd agli ultimi schizzi nel campo infangato dove si gioca la partita con Confindustria. Il punto, però, è un altro: fra un po’ in Sicilia rischia di materializzarsi una situazione che annichilirà, per gravità e conseguenze sulla vita dei cittadini, la celeberrima-famigerata emergenza in Campania. Il dramma è tutto nei numeri: la produzione di rifiuti nell’Isola è di D 2,3 milioni l’anno, la capienza delle attuali discariche (Siculiana compresa) è di 1,7 milioni. E allora che si fa? La ricetta prospettata dai tecnici del ministero dell’Ambiente a Crocetta, come rivelato dall’edizione palermitana di Repubblica, è chiara: «Avviare accordi con altre Regioni o con Paesi esteri per portare i rifiuti fuori dalla Sicilia».

Ci sarebbero anche già delle potenziali destinazioni: dal Nord Italia a Olanda e Bulgaria. E anche uno studio del dipartimento regionale Acque e rifiuti sul costo dell’“export della munnizza”: 78 milioni l’anno per i Comuni siciliani. Una ragione in più a sostegno della freddezza, sull’ipotesi, da parte dell’assessore Vania Contrafatto. Che ieri, accompagnata dal dirigente Domenico Armenio, ha vinto la battaglia contro la Catanzaro Costruzioni sulla discarica di Siculiana. Ma non la guerra con l’azienda della famiglia del vicepresidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, contrario a ricevere il surplus d’immondizia per «questioni ambientali e sanitarie».

Posizione «illegittima», secondo Contrafatto, prima del tiepido armistizio di ieri. La strategia dell’assessora renziana (che non ha mai nascosto le sue prese di distanza dalle scelte del governo Crocetta, a partire dal ddl sull’acqua pubblica, destinato a «un’impugnativa scontata, io l’avevo detto») è ovviamente in perfetta linea con il capo dei Matteoboys di Sicilia, il sottosegretario Faraone. Che appena un paio di giorni fa era stato chiarissimo: «Sui rifiuti i pannicelli caldi hanno i minuti contati. Sono le ultime settimane di vecchia gestione, mai più proroghe. Via discariche e rifiuti nascosti sotto il tappeto». Aggiungendo: «Stiamo preparando interventi-choc, che niente hanno a che fare col passato».

Il plurale maiestatis che, seppur annacquato da un «in collaborazione con il governo regionale», sembra spalancare le porte al commissariamento. Ammesso fra le righe: «Agiremo in tempi strettissimi con poteri speciali, non abbiamo più un solo minuto da perdere». Perché, anche in questa frase, l’uso della prima persona plurale è di chiara matrice capitolina. Circolò, poco prima del Crocetta-quater, pure l’identikit di un super-commissario nominato dal governo nazionale: un ingegnere palermitano già in prima linea in precedenti emergenze-rifiuti. Ma poi l’idea fu bloccata. Un po’ per lo stop del ministro (dell’Udc) Gian Luca Galletti, ma soprattutto in nome della pax, seppur incollata con la saliva, all’interno del Pd siciliano. L’ombra del commissariamento aleggia di nuovo. Ma, al di là del nome, quello che conta è il piano.

Perché, servendo quel mezzo miliardo che la Regione non ha, i «poteri speciali» a cui si riferisce Faraone permetterebbero da un lato una più agevole requisizione degli impianti e una corsia rapida per superare gli intoppi burocratici nelle discariche in costruzione, soprattutto nel Messinese. E dall’altro lato – in piena sintonia fra Roma e Palermo – consentirebbero di accelerare anche sugli inceneritori (approvati da Renzi) e sulle «piattaforme integrate» annunciate lo scorso ottobre dall’assessore Contrafatto. Che poi sono quasi la stessa cosa: «Il governo nazionale ha previsto la realizzazione in Sicilia di due termovalorizzatori di nuova generazione e il governo regionale ne ha proposti sei ma più piccoli, con un minor impatto e secondo un principio di prossimità», ha rivelato l’assessore.

Aggiungendo: «Una volta aumentata la percentuale di differenziata, bisognerà porsi il problema di come trattare la parte residuale dei rifiuti che non è in alcun modo riutilizzabile e che la normativa europea non consente più di conferire in discarica». Il ministro Galletti, dal canto suo, ha detto che «le Regioni sono liberissime di percorrere strade alternative purché abbiano un sistema di gestione dei rifiuti in linea con le normative vigenti. E quello siciliano, in cui il 90% dei rifiuti viene portato in discarica senza neanche il pretrattamento, non lo è». La strada sembra spianata: chiamateli «interventi-choc», «piattaforme integrate», o «termovalorizzatori».

Ma la sostanza, da qui a poco, non cambierà. Più che Crocetta, in questa storia, a metterci la faccia – per chiudere la melmosa questione dell’immondizia siciliana – è l’establishment renziano nazionale e regionale. Risolvere l’emergenza sarebbe un risultato storico, tanto da spianare la strada verso Palazzo d’Orléans nel 2017. Anche se per la deputata regionale del M5S, Valentina Palmeri, trattasi di «un subdolo disegno politico per aggravare ulteriormente la precaria gestione dei rifiuti al fine di accelerare l’autorizzazione a incenerire». Vedremo chi ha ragione.

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