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Da Cefalù al Tennesse, è emergenza bullismo: i giovani vanno ascoltati

Di Mario Barresi |

Nel non voler dire nulla, ieri il preside ha detto tutto: il ragazzino che in classe ha provato a darsi fuoco vive «uno stato di disagio». Eppure, ha precisato, «non si è bruciato neanche un capello».

Il fatto, come si sa, è successo lunedì mattina: un alunno, 12 anni, della seconda media dell’istituto “Rosario Porpora” di Cefalù, dopo essersi cosparso di alcol, ha “brandito” un accendino, minacciando di darsi fuoco in classe. Ed è diventata notizia ieri. Perché, dalle prime informazioni raccolte a scuola, sono stati gli stessi carabinieri a ipotizzare la prima chiave di lettura, ammettendo che «il ragazzino sarebbe vittima di atti di bullismo da parte di studenti di altre classi».

A Cefalù come in Tennessee; la piccola aspirante torcia umana come Keaton Jones, il bimbo americano deriso dai compagni per il suo «naso brutto» filmato dalla madre in un video visto 16 milioni di volte su YouTube. «Come ti fanno sentire i bulli? Cosa ti hanno fatto oggi a scuola?», gli chiede la madre, comunicatrice cinica ed efficacissima. Il bambino parla e singhiozza, piange e racconta. Mentre lei lo immortala con lo smartphone in un video che commuovere il mondo, facendo immedesimare chissà quanti milioni di piccole vittime.

Quant’è disperata una mamma (poi accusata di post razzisti da chi è andata a spulciare i suoi profili social, ma questa è un’altra storia) per dare il dolore del suo bambino in pasto al web? Forse quanto lo era il dodicenne di Cefalù.

Raccontano che il liquido infiammabile se lo sia buttato addosso prima in bagno, dove forse pensava di girare (senza telefonino materno) la scena finale della sua minuscola enorme tragedia. Poi percorre il corridoio ed entra in classe. Gli occhi sbarrati, il tanfo di spirito sui vestiti. Un movimento lento e ostentato.

Clic. La fiammella dell’accendino, lo sguardo fiero, quello d’un momento climaterico e catartico. «L’ha fermato la sua compagna di banco», raccontano a scuola. E qui tornano le parole del dirigente del “Porpora”. Domenico Castiglia: «Ma non si è bruciato neanche un capello». Come a sottolineare, oltre al lieto fine, che è un gesto – assolutamente da non imitare – ma soltanto un gesto. Potenza, non atto. L’unico modo per farsi ascoltare, un messaggio plateale tanto quello del video globalizzato della mamma di Keaton.

Ascoltiamoli. Perché loro – fra di loro – parlano. Anche al netto delle differenze – delle cinquanta e oltre sfumature di bulletti e di bullizzati – fra casi non assimilabili. Ascoltateci. C’è «uno stato di disagio che noi conosciamo», ha detto il preside. «Un disagio molto grave», hanno detto gli altri genitori magari per difendere i propri figli dal qualunquismo delle accuse sparate nel mucchio. E allora, forse, è anche peggio. Se il dodicenne fosse un debole ancora più debole, chi lo ha portato a questo punto è un bullo ancora più bullo. Perché se prendere di mira il grassottello, il meno cool della classe, è da vigliacchi, infierire su chi è rimasto indietro è anche peggio. «Non è colpa loro», piagnucola Keaton. E invece sì. Pure loro.

Po c’è l’ altro muro: «Troppo spesso i testimoni oculari sono complici dei bulli – sostiene Maurizio Gentile, psicologo e direttore dell’Osservatorio contro il bullismo in Sicilia – perché sanno quello che accade ai loro compagni e non denunciano, anzi. Spesso intervengono a favore dei bulli. Questo è il vero problema».

Il bullismo: sì, forse. «Stiamo verificando», ha detto il preside. Ma, per ora, «trattando la cosa come uno stato di disagio vissuto dal dodicenne». Come? «Abbiamo parlato con ragazzi e genitori. Stiamo lavorando sui sentimenti e sulla solidarietà degli scolari. Nella classe c’è grande solidarietà e altruismo». Anche se – il paese è piccolo e la gente mormora – c’è già più di un identikit dei piccoli carnefici.

Il caso esplode in Sicilia, dopo Roma e Napoli. I bulli diventano assassini indiretti. Parole, parole, parole. Giuste, sacrosante, utili. Ma, forse, prima di parlare bisognerebbe ascoltare. A Cefalù come a Noto (Siracusa), dove l’altro giorno 5 giovani vigliacchi sono stati accusati di bullismo perché deridevano la compagna «troppo grassa». A Cefalù come ad Acireale, dove un diciassettenne s’è impiccato – dicono – sotto il peso dell’insostenibile leggerezza dell’amore. Imparare ad ascoltarli. Rompendo i silenzi di solitudine, prima che diventino urla di tragedia.

Twitter: @MarioBarresi

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