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Ragnatela di misteri su riserva Cavagrande

Ragnatela di misteri su riserva Cavagrande Chiusa ma non per escursioni a pagamento

A 20 mesi dall'incendio manca ancora una stima dei danni 

Di Redazione |

Avola – Ci sono tutti gli elementi di una spy story dietro la chiusura della riserva orientata di Cavagrande del Cassibile. Lavori di ricostruzione di un immobile a cura dell’aziende foreste demaniali, le cosiddette “Case di Natala”, che vengono ultimati all’interno di un sentiero chiuso, a pochi passi dalla zona dichiarata “off-limits”. Associazioni a cui viene consentito di fare escursioni nella riserva, a pagamento, proprio nei sentieri chiusi con l’ordinanza del 2 luglio 2014. Interessi di più parti che si accusano a vicenda senza mai pronunciare nomi in maniera esplicita. E infine un documento, che non risolve il problema sicurezza delcanyon, ma ne consentirebbe l’accesso svincolando l’ente gestore da qualsiasi responsabilità. 

Tutte le parti chiamate in causa per la riapertura della riserva sembrano brancolare nel buio. A 20 mesi dall’incendio non c’è ancora una stima del danno alla riserva e quindi non è nemmeno stato possibile preparare progetti di ripristino di quei sentieri che nell’ordinanza del 2 luglio vennero dichiarati «impraticabili, visto il pericolo imminente ed estremamente elevato di rotolamenti massi, tali da non garantire la sicurezza e l’incolumità dei fruitori».La conferma che poco o nulla è stato fatto per potere almeno cominciare a pensare ad una riapertura della riserva arriva dallo stesso dirigente dell’ente gestore, Nunzio Caruso, subentrato ad Antonino De Marco il 28 maggio del 2015.

«Purtroppo c’è un problema di risorse – dice Caruso – ed è stato difficile anche trovare i 20mila euro che serviranno per fare ispezionare le pareti della cava con l’ausilio dei droni». Monitoraggio che ancora non è avvenuto e che Caruso promette avverrà quando «si sistemerà il tempo perché – dice – con il vento i droni non possono volare». Eppure soldi, tanti, sono stati utilizzati dall’azienda foreste demaniali per ristrutturare le “Case di Natala”, un complesso abitativo a cui si accede dal sentiero Mastra Ronna, interdetto al pubblico, e solo al pubblico a quanto pare. Con un finanziamento della comunità europea di circa 400mila euro si è creata quella che sarà la “casa dei visitatori”, ammesso che ad essi sia prima o poi consentito entrare.

Il fatto è che i lavori sono stati eseguiti in una zona definita dall’ordinanza “di pericolo imminente ed estremamente elevato di rotolamento massi”. Caruso dà la sua spiegazione: «Il restauro è stato ultimato a novembre. I materiali sono stati portati lì con l’elicottero. Se si dovevano fare dei lavori, l’impresa doveva scendere. E comunque in quella zona non c’è assolutamente alcun rischio. Abbiamo chiuso il sentiero perché poi i visitatori da lì accedono a laghetti, dove il pericolo è invece grande». Le case distano dai laghetti 95 metri. Evidentemente per il dirigente questa distanza segna un buon margine di sicurezza. Fatto sta che la condizione di “pericolo” viene data a naso, senza l’ausilio di documenti che certifichino il reale stato dei luoghi.Ma gli operai che hanno ristrutturato le “Case di Natala” non sono gli unici ad avere beneficiato di questo permesso, definiamolo in deroga. Ad alcune associazioni, fino a settembre 2015, è stato consentito organizzare escursioni a pagamento attraversando lo stesso sentiero Mastra Ronna chiuso per tutti, aperto per pochi. «Non le saprei dire – dice Caruso – se c’è stata un’altra ordinanza che ha consentito l’accesso a quel sentiero sostituendo quella di totale chiusura. Non me lo ricordo per la verità». Male. Tutti si strappano i capelli e protestano per la riapertura dei sentieri del canyon ed il responsabile dell‘ente gestore, pare non avere chiara la situazione. Anzi sì.

«L’area dei laghetti – continua Caruso – è quella più ad alto rischio sismico che abbiamo in tutta la Sicilia».Una “giustificazione” che regge poco. Per la stessa ragione non dovrebbe essere consentito l’accesso a tutti i parchi naturali, alle chiese, ai monumenti perché un terremoto, da un momento all’altro potrebbe mettere a rischio la vita dei visitatori. Tant’è che la stessa azienda che ha gestito fino al 24 giugno del 2014, lo stesso giorno dell’incendio, faceva firmare ai visitatori una manleva in cui ai punti 3 e 8 c’era scritto: “Dichiaro di essere consapevole e di accettare tutti rischi da ciò derivanti che la natura dei luoghi è tale da non escludere fenomeni naturali ed imprevedibili di smottamenti, frane e cadute massi, nonché schianti di naturali di alberi”. E ancora: “Dichiaro di riconoscere che l’ente gestore ha fatto tutto il possibile, tenuto conto delle norme in vigore e della natura dei luoghi, per evitare il verificarsi di danni alle persone ed alle cose”. Ma la manleva fatta firmare fino a giugno 2014 viene dichiarata illegittima da chi… la faceva firmare. «Se fosse legittima e legale – dice Caruso – io l’adotterei.

È un palliativo. Ho dei pareri del nostro ufficio legale che dicono che la responsabilità non può essere delegata». Allora sorge un problema. La settimana scorsa le telecamere della Rai hanno realizzato un servizio su Cavagrande trasmesso dal programma “Alle falde del Kilimangiaro”. Uno splendido servizio in cui si mostra a tutta l’Italia la bellezze del canyon, senza però dire che è chiuso e pericoloso. L’autorizzazione all’accesso è stata data da Caruso: «Non potevo far perdere l’opportunità di una vetrina nazionale per la riserva». Resti vetrina dunque.  

Francesco Midolo                              COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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