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Opere incompiute e malcostruite: il lato B del malaffare

Di Salvo Guglielmino |

«L’incompiuto non è soltanto frutto di errori e malversazioni. E’ è il più importante stile architettonico italiano del Dopoguerra», è l’idea provocatoria degli autori del libro-catalogo che guidano un’associazione fondata nel 2009 da Alterazioni Video, Claudia D’Aita ed Enrico Sgarbi, per promuovere «lo studio e la ricerca sullo stile architettonico dell’Incompiuto Siciliano, che caratterizza oggi il paesaggio italiano, quale paradigma interpretativo dell’architettura italiana dal secondo dopoguerra fino ad oggi».

Per provare a spiegare questa tendenza, citano una frase di Pietro Germi: «La Sicilia è Italia due volte e tutti gli italiani sono siciliani e i siciliani lo sono di più, semplicemente». Ma il problema degli edifici pubblici pericolanti o abbandonati riguarda tutto il Paese. Anche Legambiente aveva stilato qualche anno un elenco che riguardava in particolare 4 regioni: Sicilia, Calabria, Molise e Veneto. Dentro c’era un po’ di tutto: ponti, strade, ospedali, scuole, porti, centri commerciali, aeroporti, commissariati, chiese. Ma naturalmente si trattava di una lista sicuramente approssimata per difetto, redatta tenendo conto solo delle indagini avviate dalla magistratura sull’uso del calcestruzzo depotenziato, espressione eufemistica per indicare un prodotto taroccato, truffaldino, scadente, con più sabbia che cemento. Per non creare allarmismi non erano state inserite nell’elenco strutture pubbliche e private all’apparenza solide, ma su cui gravano mille voci e sospetti. «Soprattutto negli anni Settanta e Ottanta in Italia hanno costruito una porcata dietro l’altra» spiegano a Legambiente.

Alcuni anni fa un gruppo di parlamentari Pd (alla Camera primo firmatario l’agrigentino Angelo Capodicasa, al Senato Benedetto Adragna, anch’egli agrigentino) propose l’istituzione di una commissione d’inchiesta su questi argomenti. Ma la cosa non è mai decollata. La richiesta di una commissione d’inchiesta si basava su due considerazioni: dove e come si sono verificate le tante violazioni amministrative e contrattuali nella realizzazione di molte opere pubbliche.

Seconda considerazione: sulla carta le norme per prevenire gli abusi già esistono, ma evidentemente o non sono sufficienti o sono facilmente aggirabili. Le opere che si sono sbriciolate alla prima onda d’urto del terremoto negli ultimi anni in Abuzzo, ad Amatrice ed ultimamente ad Ischia, o quelle che secondo la magistratura sono a rischio crollo, risultano sempre accompagnate da impeccabili certificati rilasciati dai laboratori ufficiali in seguito ad altrettante verifiche all’apparenza inattaccabili su campioni di calcestruzzo. È chiaro che qualcosa, anzi, molto non funziona, soprattutto nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e aziende costruttrici.

Soprattutto in Sicilia l’uso di materiali scadenti per la costruzione di opere pubbliche è quasi una tradizione e la regola nel business delle costruzioni, come ha spiegato con grande oculatezza e dettagli Daniele Martini su Il Fatto Quotidiano.

È risaputo che la maggior parte delle ditte fornitrici di calcestruzzo in Sicilia sono in odor di mafia, dalla Messina Calcestruzzi dei fratelli Pellegrino, sequestrata dalla Direzione investigativa antimafia il 24 giugno 2009, alla Calcestruzzi Mazara, a lungo ritenuta un quartier generale di Cosa Nostra, dai cinque impianti controllati da Benny Valenza nella Sicilia occidentale e confiscati dai carabinieri di Monreale su ordine della Direzione antimafia di Palermo alla Calcestruzzi Spa, un’azienda controllata dal grande gruppo Italcementi e quindi in grado di piazzare calcestruzzo scadente in quantità ingenti anche molto lontano dall’Isola.

Per esempio nel Vicentino, dove gli inquirenti ritengono che i lotti 9 e 14 dell’A31 Valdastico siano stati costruiti con materiale truccato e per questo li hanno messi sotto sequestro anche se non hanno interdetto l’uso dell’autostrada.

Ad Agrigento si accorsero che del nuovissimo ospedale San Giovanni di Dio c’era da aver paura ancor prima dell’inaugurazione ufficiale, alcuni anni fa. Sui muri e nei pavimenti cominciarono ad aprirsi crepe minacciose, ma era costato una quarantina di milioni di euro e i lavori stavano andando avanti da vent’anni e quindi decisero di aprirlo ugualmente.

Qualche tempo dopo un pentito, Carlo Alberto Ferrauto, raccontò agli inquirenti che l’ospedale era stato tirato su con calcestruzzo fasullo fornito dalla mafia e le verifiche tecniche e i carotaggi confermarono le rivelazioni. La struttura fu considerata inagibile, ma siccome per motivi sanitari e di ordine pubblico non si potevano lasciare per strada 400 malati poi è stata riaperta con una specie di compromesso: sulla stabilità vigila la protezione civile, anche se , a detta di molti, restano inalterati i pericoli derivanti dai vizi di costruzione non sanati.

È lungo l’elenco delle opere siciliane a rischio su cui ha indagato in questi anni la magistratura: la galleria Cozzo-Minneria dell’autostrada Palermo-Messina, la strada a scorrimento veloce Licata-Torrente Braemi, lo svincolo di Castelbuono-Pollina, l’ospedale Cervello di Palermo, il padiglione dell’ospedale di Caltanisetta, il padiglione 6 del Piemonte di Messina, il Civico di Partinico e 30 capannoni dell’area industriale, il centro commerciale di Contesse e l’approdo di Tremestieri, gli aeroporti di Palermo e Trapani, il Palazzo di Giustizia e il porto-diga foranea di Gela, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo. Pagine e pagine di interrogatori e vetifiche. Senza dimenticare il viadotto Scornavacche sulla Palermo-Agrigento aperto il 23 dicembre 2014 e crollato dopo venti giorni, o il caso altrettanto emblematico di Campobello di Licata, dove per un cedimento strutturale è stato chiuso il plesso infanzia Pascoli nel 2016. In Calabria la galleria Palizzi della statale 106 è franata prima dell’apertura al traffico e le indagini hanno subito accertato che la società Condotte a cui l’Anas aveva affidato la costruzione stava usando calcestruzzo di pessima qualità. In Molise per sanare i vizi di costruzione della variante di Venafro causati dall’uso di calcestruzzo scadente l’Anas ha dovuto sostituire più di metà dei pali in cemento. Costo aggiuntivo, 2 milioni di euro.

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